L’anello al dito
Brutta situazione. Valerio (Francesco Gheghi) ha una ventina d’anni e si scopre assolutamente “fermo”, inteso come posizione sociale e non solo. Un po’ alla maniera del Danny Torrance di Shining si affida al proprio mignolo nella lettura della realtà, tutt’altro che ottimista. Di lavoro fa l’animatore di scarso successo alle feste dei bambini travestito da lupo, mentre il suo unico hobby è quello di far esplodere formicai, animali troppo perfetti ed organizzati per sopravvivere alla sua invidia. Così, come per contrappasso, un giorno arriva un rivale, vestito esattamente come lui, a sparigliare le carte.
Quello diretto da Gianluca Granocchia (classe 1989), dal titolo Mignolo, è un cortometraggio esplicitamente pedagogico. Confrontandosi con gli innumerevoli mezzi audiovisivi presenti oggi tra i giovani, che rimandano un’immagine di Valerio quantomai distorta e confusa, imbastisce una storia esemplare su cosa significhi vivere oggi in un mondo di pura apparenza nel quale risulta impossibile recuperare un qualsiasi tipo di bussola. Soprattutto se bisogna vivere con i propri mezzi, non potendo contare su fortune famigliare o altro. La morale è chiara: affidarsi totalmente all’intraprendenza e al destino. Qualcosa di buono potrebbe scaturire. Ma anche no. Granocchia pare voler inserire un discorso di sottile critica al mondo di oggi, con i giovani alle prese con scelte brutali e indifferibili appena entrati nella maggiore età. In realtà ci troviamo più in ambito favolistico, con le feste in costume a regalare ingressi verso altre dimensioni non sempre piacevoli, nonché confronti calzanti tra infanzia e fine dell’adolescenza. E mamme senza cuore che imperversano, aumentando la rabbia nel povero Valerio. In Mignolo tuttavia la prima lezione che si vuol dare è quella di non mollare mai, visto che anche rivali, o presunti tali, possono rivelarsi preziosa ancora di salvezza. Magari smentendo una superiorità maschile che proprio manca di una ragione d’essere e comprendendo in via definitiva come, se ciò che si vive da soli può sembrare problematico, in due si riesca a smussare molti degli spigoli apparenti.
Come lezione didattica il tutto è facilmente intellegibile, anche se sussistono scelte di sceneggiatura decisamente poco spiegabili. Un esempio? Essendo Mignolo un corto riservato in prevalenza a giovani di tutte le età, perché i due protagonisti appena maggiorenni risultano entrambi tabagisti discretamente continui, soprattutto Valerio? Di certo il vizio del fumo andrebbe combattuto, non mostrato in un lavoro breve, come premesso, di carattere educativo. Insicurezze e nevrosi possono apparire in molti altri modi.
Per il resto siamo dalle parti di un cortometraggio ben realizzato da un punto di vista tecnico, dalla lettura semplice per ogni giovanissimo che abbia occhi con cui voler vedere ed orecchie con le quali saper ascoltare. Un’iniziativa, quella della scoperta “verticale” del mondo giovanile, degna di attenzione.
Ben vengano, allora, altre produzioni di questo tipo. A patto che la loro visibilità sia piuttosto ampia.
Daniele De Angelis