W la revolución
In una delle prime scene della pellicola, una Tv a tubo catodico mostra un discorso di Luis Donaldo Colosio, che nel 1994 stava concorrendo alla Presidenza del Messico. Quasi alla fine, la stessa televisione fa vedere Ernesto Zedillo, esponente del PRI, appena eletto Presidente che ringrazia e ricorda il compagno Colosio. Donaldo Colosio, candidato del Partito Rivoluzionario Istituzionale (PRI), fu assassinato, in diretta, il 23 marzo 1994. Dall’utilizzo di queste immagini, inserite in Mi novia es la revolución (2021) di Marcelino Islas Hernández, pellicola presentata alla Festa del Cinema di Roma del 2021, si capisce che la storia è ambientata nel 1994. Un’ambientazione che è una metafora legata alla vicenda amorosa e di vita di Sofi (Sofia Islas, figlia del regista), perché il delitto Colosio, il primo dal lontano 1928 (Il neo eletto Álvaro Obregón fu ucciso dopo appena sedici giorni l’elezione), ha significato la perdita della verginità per un’intera nazione, e Colosio, visto come la nuova speranza per una nazione allo sbando, l’esponente politico che avrebbe dato il via a una rivoluzione sociale.
Per comprendere Mi novia es la revolución, ennesimo romanzo di formazione cinematografico, però, bisogna anche partire dal piccolo discorso che la sorellina fa a Sofi, ovvero che le cose, nella vita, sono inevitabili. E tra molte di queste c’è l’inevitabilità di crescere e diventare adulti, e per tanto ci saranno inevitabilmente gioie e soprattutto dolori. L’atto di maturare ha spesso aspetti negativi, perché nella formazione della propria personalità, che si evolve e cesella in fase adolescenziale, il dolore sarà quello che forgerà principalmente l’animo di una persona. Sofi, adolescente introversa e di estrazione medio-borghese, sente che è diversa, tanto nel proprio nucleo familiare (la madre non la capisce) quanto con i suoi coetanei. Una differenziazione che si palesa principalmente a livello sessuale, poiché Sofi è lesbica. In una nazione fortemente maschilista (come in tutti i paesi latini), e in un periodo (il 1994) ancora lontano da tenui raggiungimenti sociali, l’omosessualità è un tabù, e Sofi ne soffre non potendola vivere liberamente. Eva, ragazzina punk dal forte carattere di cui Sofi è innamorata, entra nella sua vita come un ciclone (è sgusciata come una ladra nella casa, e ha messo a soqquadro la sua abitazione, ossia metafora del suo intimo). Se per Eva la vita e i sentimenti sono un gioco (vive alla giornata e amoreggia con tutti), per Sofi l’amore è qualcosa di profondo. La relazione che s’instaura, e che trasforma esteriormente Sofi (si taglia i capelli come un maschio, fuma sigarette e l’aiuta nei furti) è recepita differentemente dalle due: Sofi la chiama fidanzata, mentre per Eva è una relazione aperta. Una storia sentimentale, tanto vorticosa quanto dolorosa (Eva scompare improvvisamente, dopo l’ultimo furto), le farà capire come il mondo degli adulti sia difficile. Verso la fine, quasi fosse il vero finale, Sofi piange a dirotto mentre intorno a lei i ragazzi se la spassano a un concerto punk, e nel vero finale, che suggella la storia, Sofi, tornata sognante adolescente (è vestita da principessina per il suo quindicesimo compleanno), scappa, indossato gli anfibi rivoluzionari sotto le eleganti vesti regali, a dorso di un cavallo bianco, verso un futuro incerto. Un finale favolistico, come evidenziano anche i titoli di coda disegnati come un fumetto, che da un minimo di speranza. Il titolo si riferisce sia a Eva, a cui Sofi ha “tatuato” la R di rivoluzione sul braccio, e sia alla vera rivoluzione che spetta alla protagonista, precipitata nel mondo degli adulti. Sofi sposa la causa rivoluzionaria, ovvero la lotta quotidiana per un benessere sociale e sentimentale.
Mi novia es la revolución, che come già scritto rientra nei bildungsroman cinematografici, ha delle belle notazioni sull’omosessualità adolescenziale, e alcune scene che cristallizzano efficacemente il dolore (la scena del pianto), però non riesce a raggiungere quel tocco descrittivo raggiunto da Fucking Åmål – Il coraggio di amare (Fucking Åmål, 1998) di Lukas Moodysson, pellicola con cui ha un paio di similitudini (la contrapposizione caratteriale delle due protagoniste, l’ambientazione in una piccola cittadina).
Roberto Baldassarre