Young American Girl
L’ossessione per il successo genera mostri. Ovviamente proliferando in un ambiente ad altissima densità mostruosa. Questo ci raccontano Ti West (regista e sceneggiatore) e Mia Goth (attrice, ma anche cosceneggiatrice del precedente Pearl) nella loro impagabile trilogia a cadenza “spin-off”. Nel senso che, dopo il primo X – A Sexy Horror Story, si punta l’obiettivo sui due personaggi principali dell’opera primigenia, cioè Pearl e Maxine, entrambi magistralmente interpretati, per l’appunto, da una Mia Goth in questo senso accreditabile anche come vera e propria coautrice delle tre opere. Tra l’altro messe in quadro attraverso uno sguardo ben definito e filologico su tre epoche differenti (rispettivamente anni settanta, post Primo Conflitto Mondiale e anni ottanta) che confluiscono in un simbolico presente maledettamente attuale, tutto fondato sull’apparire piuttosto che sull’essere.
MaXXXine, dunque, esplora l’esistenza di Maxine Miller, unica, bellicosa, sopravvissuta dalla mattanza di X. Dove una troupe scalcinata avrebbe voluto girare un porno epocale in Texas al tramonto degli anni settanta. Con il nome d’arte di Maxine Minx la nostra eroina è intanto sbarcata in una Hollywood da tregenda che ricorda molto quella raccontata da David Cronenberg in Maps to the Stars (2014): squallore, rivalità e, soprattutto, omicidi di ragazze orbitanti in ambienti equivoci perpetrati da un misterioso serial killer. Una spada di Damocle che pesa sulla corsa al successo di Maxine, finalmente arrivata – dal porno – alla grande occasione della carriera: un film di genere (un sequel, The Puritain II) ma anche d’autore – anzi d’autrice – che possa lanciare la propria carriera nel cinema di alto livello.
Senza raccontare oltre per non rivelare i numerosi colpi di scena del plot, MaXXXine si getta lancia in resta nel caos più assoluto, metabolizzando e ricreando gli anni ottanta come pochissimi altri autori sono stati in grado di fare. Ti West, ormai passato da regista di genere ad autore tout court, dimostra coraggio nel girare una sorta di summa del cinema che ha sempre amato, con espliciti richiami al vecchio thriller all’italiana, tanto sangue, molti cadaveri ed in più un retrogusto semi-filosofico di totale disincanto a fornire spessore al tutto. L’orrore diventa così più una questione di corruzione morale che di nefandezze visive, in cui assolutamente nessuno dei personaggi risulta integro e innocente. Ciò in una Hollywood in totale decomposizione simbolica.
Eppure ogni contesto, anche il più degradato, ha assoluto bisogno dei suoi eroi. Oppure di eroine. Termine in questo caso leggibile in entrambi i significati. E allora Maxine assolve il compito, ergendosi a giustiziera dei finti moralisti, estremisti religiosi che pretendono di purificare il mondo eliminando quella che credono essere la spazzatura dello stesso. Il messaggio veicolato dal lungometraggio di Ti West è cristallino: nessuno può giudicare nessuno, in un mondo in cui bisognerebbe semplicemente raccogliere i pezzi e provare a tenerli assieme. Se si vuole provare a vivere è necessario prima riuscire a sopravvivere. E questo Maxine lo ha compreso alla perfezione, recependo la fondamentale lezione impartita nel corso della diegesi di X.
Se allora si giudicasse MaXXXine con l’occhio disincantato del giochino citazionista, si andrebbe nettamente fuori strada. Siamo piuttosto dalle parti di una disperazione assoluta messa in scena attraverso una frustrazione soggettiva che cancella qualsivoglia confine etico tra giusto e sbagliato. Ed una trilogia così pensata “evade” spontaneamente dalla gabbia del cosiddetto cinema di genere nella quale molti vorrebbero tenerla rinchiusa.
Attendiamo dunque con parecchio interesse nuove opere a firma Ti West, magari di nuovo in fecondo sodalizio artistico con Mia Goth; siamo certi che ci riserveranno ancora moltissime sorprese. Raccontando di un mondo a tinte horror dove l’apocalisse prossima ventura prima o poi arriverà accolta da uno stolido sorriso disegnato sulle labbra.
Daniele De Angelis