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Marilyn ha gli occhi neri

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VOTO: 7

Guardar(si) negli occhi

Clara (Miriam Leone riesce molto bene a suonare le giuste corde, senza mai strafare, e il suo sorriso naturale la supporta in questa ottima interpretazione) è talmente brava a mentire che è la prima a credere alle sue bugie. Vitale e caotica, ha qualche problema a tenere a freno le sue pulsioni. Diego (incarnato da Stefano Accorsi, il quale rende credibili la balbuzie così come gli exploit) è il suo esatto contrario – e non poteva che essere così in un plot che da un lato vuole rispettare certi canoni; dall’altro vorrebbe mischiare le carte. Ci troviamo di fronte a un uomo provato dagli eventi, con varie psicosi, tic e continui attacchi d’ira con cui deve fare i conti. Con questi presupposti, l’incontro tra i due avviene in un Centro Diurno per il rehab di persone disturbate. Dovranno affrontare insieme una prova: la gestione di un ristorante del Centro, come, però si sviluppa questo incontro e in che modalità ciascuno di loro si relazionerà con le proprie questioni e con l’altro vi suggeriamo di scoprirlo coi vostri occhi.
Marilyn ha gli occhi neri di Simone Godano è stato scelto come film di chiusura del Bif&st – Bari International Film Festival 2021 ed è attualmente nelle sale con un numero cospicuo di copie – e questo è uno ‘sforzo’ che di questi tempi va evidenziato. Non è mai semplice mettere in campo ed elaborare sul piano cinematografico (e non solo) il tema della ‘diversità’, parola che troppo spesso ci spaventa, ma se ci riflettiamo, al di là di patologie e disturbi che possono esser stati riconosciuti a una persona, ognuno di noi è diverso e fa i conti con la difficoltà di comunicare nei rapporti interpersonali – spesso basta un non nonnulla per dar adito a fraintendimenti. In questo caso, con tutto ciò che sono Clara e Diego (la sintonia tra i due attori è perfetta), si può toccare con mano la loro sensibilità così come la suscettibilità all’ennesima potenza, in quanto, ancor più per loro, l’altro può simboleggiare qualcuno da cui difendersi o scontrarsi. Sta sempre a loro – anche se può capitare che siano guidati – trovare una via per stare insieme all’altro e agli altri, senza innalzare troppe barriere; ciò che ci trasmette questo lungometraggio unendo il registro di commedia e dramma consiste innanzitutto nel non avere timore di termini come diverso e diversità.
La storia di Marilyn ha gli occhi neri, (ideata da Godano, sceneggiata con Giulia Steigerwalt), è nata da un primo input: «Io e Giulia avevamo assistito a una proiezione del nostro film Croce e delizia in un centro per disabili. Era una proiezione notturna totalmente gestita da loro: proiettavano il film, facevano gli hot dog, ponevano le domande», ha raccontato il regista nel corso della conferenza al Teatro Margherita di Bari. Aggiungendo che fonte di ispirazione sono stati: «Il lato positivo, Se mi lasci ti cancello, Ubriaco d’amore, una storia d’amore tra persone improbabili, ma anche al cinema nordico con la sua ironia nel ritrarre i disagiati: non li prende in giro, ma non ha compassione di loro, non è melodrammatico. Io mi nutro di cinema americano, ho visto tutti i film su questo tema ma non li cito…».
Ripensando al film colpisce la battuta di Clara: «Ci ha chiesto di gestire un ristorante, non di non fantasticare e poi a me fa stare bene». Come non ritrovarsi in questa battuta così vera e quanto ci siamo dimenticati o abbiamo messo da parte il fantasticare?
«Come mi vedi?» è una domanda chiave non solo nel dialogo tra i due, ma anche nel rilanciare la palla allo spettatore. Ritroveremo dei punti di contatto con noi stessi (e sono i protagonisti a evidenziarlo), anche perché pure Clara e Diego – con il proprio background, gli scontri e i disturbi che li hanno portati nel centro diurno – stanno cercando un posto nel mondo, come tutti
«Avete mai l’impressione di essere sopraffatti dall’incomunicabilità, sì quella brutta cosa che si impossessa degli altri e ci fa sentire tremendamente soli, che fa sì che la sofferenza degli altri ci spaventi. Sì perché è questa la verità: la sofferenza degli altri ci fa tanta paura e non ne sappiamo neanche il motivo. Forse perché allontanandola pensiamo che non ci riguardi. […] Allora invece che spaventarvi, per una volta, lasciate che l’altro da voi, l’estraneo, ‘il matto’ vi coinvolga in un’esperienza unica e irripetibile, perché forse ‘il matto’ vi è molto più vicino di quanto immaginiate» – Clara.
A ogni occasione possibile e calzante ci preme ricordare le parole dello psichiatra che ha sempre dimostrato una mente e un cuore aperti: «Da vicino nessuno è normale».

Maria Lucia Tangorra

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