Un incantesimo interrotto
Purtroppo non tutte le ciambelle escono col buco e dopo la clamorosa risalita di Blue Jasmine che è valso l’Oscar come migliore attrice protagonista a Cate Blanchett, Woody Allen sforna un’altra commedia, Magic in the Moonlight, che pur essendo ben confezionata (soprattutto dal punto di vista della fotografia curata da Darius Khondji) non spicca il volo.
Presentato in “Festa Mobile” alla 32^ edizione del Torino Film Festival e in uscita nelle sale dal 4 dicembre, il film narra di un prestigiatore, Stanley Crawford (Colin Firth), che esercita col nome d’arte Wei Ling Soo, è molto sicuro dei trucchi del mestiere e si diverte a smascherare i cosiddetti cialtroni. Proprio a questo proposito viene chiamato nel Sud della Francia, dove, da un po’ di tempo, è al centro dell’attenzione una medium, Sophie (Emma Stone); a organizzare il tutto è il suo vecchio amico Howard Burkan (Simon McBurney), con il quale aveva fatto la gavetta e che è rimasto sempre in seconda fila. Solo questi elementi potrebbero farvi intuire le pieghe che la storia prenderà e noi non vogliamo aggiungervi altro, di fronte a un plot che purtroppo non sorprende, nonostante il cast sia di alto livello e faccia assolutamente il suo.
Il regista di Match Point, dopo La rosa purpurea del Cairo, Radio Days, Pallottole su Broadway e soprattutto Midnight in Paris torna alle atmosfere degli Anni ’20, ma senza riuscire a farci sognare come accadeva nell’ultima pellicola citata. Probabilmente nel film del 2011 ha aiutato molto anche l’espediente di incontrare gli artisti e gli scrittori che a quel tempo soggiornavano a Parigi (come Francis Scott Fitzgerald a cui si ispira lo stesso Firth), in quest’ultima fatica tutta la fantasia si cristallizza nell’idea di magia-illusione, che dovrebbe declinarsi nei numeri da palcoscenico, nei “collegamenti” con l’aldilà e, nel senso più lato e romantico, in amore. Senza essere particolarmente detrattori, va riconosciuto che, in alcuni momenti, lo spettatore che ha scelto di vedere il film per puro piacere e senza troppe pretese può viaggiare in un’altra dimensione, merito soprattutto di Stanley e Sophie, inseriti spesso in quei paesaggi dai colori e dai profumi inconfondibili che ci han fatto sognare di andare in Provenza o in Costa Azzurra.
Non sappiamo se sia voluto, e nel caso non sarebbe la prima volta che il cineasta newyorkese cita altri autori e film, ma il personaggio di Firth e il plot ci ha rievocato Sono un fenomeno paranormale, lungometraggio di Sergio Corbucci del 1985, con Alberto Sordi nei panni proprio di un smascheratore di incantesimi.
Si dice che Allen da piccolo volesse fare il mago (e non è la prima volta che questa figura compare nelle sue pellicole), poi ha voluto percorrere un altro mo(n)do per creare illusioni e ce ne ha regalate tante, toccando anche corde molto profonde e restituendo ritratti con tocchi molto personali… ma questa volta, ci duole dirlo, non ha completamente centrato il bersaglio, rimasticando temi già trattati, senza farli brillare di nuova luce.
Maria Lucia Tangorra