A mezzanotte sai che io ti sbranerò
Se bisogna arrivare alle 23.59, partiamo dal fondo.
La notizia era quella da far tremare polsi e mandibola non solo degli appassionati horror, ma di tutti i cinefili: il ritorno in coppia di Wes Craven e Kevin Williamson. A due anni dal pasticcio con divorzio forzato di Scream 3, il duo che aveva letteralmente riscritto le regole dello slasher si sarebbe riunito per una nuova centrifuga postmoderna. Nuovo sottogenere da rivoluzionare, il werewolf movie. L’annuncio ufficiale arrivò nel 2002 e la produzione partì nel 2003, ma ben presto si capì che Cursed, più che un titolo, fosse un vero e proprio nomen omen, una maledizione a tutti gli effetti.
Riassumendo all’estremo, pochissimo rimase della visione originale di Craven e Williamson, che prevedeva i protagonisti Christina Ricci, Skeet Ulrich (e non Joshua Jackson) e Jesse Eisenberg alle prese con il morso di un lupo mannaro. Il film fu infatti sospeso e rimaneggiato più volte per volere della Dimension e Bob Weinstein, Williamson perse per l’ennesima volta la sedia di sceneggiatore (e sarebbe ricapitato qualche anno dopo, durante la produzione di Scream 4), parte del cast se ne andò e alla fine, come ha poi rivelato Craven, “il 90 del primo girato è stato gettato“. Finendo per scontentare tutti: il lato creativo di Craven, ma anche quello produttivo della Dimension, che si vide tra le mani un film che non incassò e ottenne stroncature unanimi.
Fa in fondo sorridere che pur così, in questa versione rimaneggiata e infelice, Craven e Williamson hanno loro malgrado dato un’interpretazione postmoderna della licantropia cinematografica. La produzione del film racchiude infatti l’essenza dell’uomo lupo: la mutazione involontaria, la perdita di controllo, una maledizione costante a essere dipendente da fattori esterni che provengono dall’alto.
A cinque anni dalle stampe di “A qualcuno piace l’horror”, Bibbia nostrana riguardante la gloriosa storia della Hammer, Stefano Leonforte, esperto horror e collaboratore di Cineclandestino, è tornato con un altro volume di critica cristallina. Uscito verso la fine del 2019 per la stessa casa editrice del libro precedente, Leima, “Guardatevi dalla luna” esplora con dovizia il cinema dei lupi mannari.
Un viaggio che inizia con mamma Universal (sebbene non con il classico del ’41 con Chaney jr., né con Il Segreto del Tibet, bensì con il corto perduto The Werewolf, del 1913) e si conclude con mamma Universal, con la disastrosa rivisitazione del 2010.
Un viaggio che spicca per completezza e profondità, che non lascia nulla al caso e che ricopre tanto i titoli e i nomi di culto, quanto quelli più oscurati dalla nebbia storiografica.
Suddiviso in otto capitoli che seguono l’evoluzione cronologica del sottogenere, “Guardatevi dalla luna” dà il meglio di sé proprio nel ridare nuova luce a sezioni di questa storia del cinema che non godono di troppa conoscenza neppure da parte di molti appassionati horror. Bellissimo, ad esempio, il quinto capitolo, incentrato sul licantropo latino in generale e su Paul Naschy in particolare, il “Lon Chaney spagnolo”, attore che ha portato sullo schermo versioni personali di buona parte delle grande maschere dell mito orrorifico. Soprattutto quell’uomo lupo che tanto lo aveva impressionato da ragazzino in Frankenstein contro l’Uomo Lupo (1943), e a cui ha dedicato dodici film tra il 1968 e il 2004 prendendo i panni del conte Waldemar Daninsky. Sebbene inizialmente non era previsto che fosse lui a vestire i panni del conte, bensì… Lon Chaney jr. in persona, poi risultato impraticabile perché non più in salute.
Tanto cinema “basso”, ma anche tanto cinema “alto”. Quello ad esempio che ha portato sullo schermo la letteratura tra fiaba e sessualità di Angela Carter, recentemente riportato alle stampe da Fazi dopo anni di oblio e che nel 1984 Neil Jordan interpretò in modo straordinario In Compagnia dei Lupi, forte dalla sceneggiatura della stessa Carter e delle magnifiche scenografie di uno dei talenti più compianti del settore, Anton Furst, morto nel 1991 a soli 47 anni (due anni prima aveva vinto l’Oscar per Batman).
Naturalmente non mancano le pagine più celebri, come quelle di Landis e Dante, rendendo la lettura dell’opera un’immersione ricca di approfondimenti sia per il neofita che per l’esperto.
A voler essere del tutto pignoli, se c’è un aspetto in cui Leonforte e Leima non riescono a replicare la grandezza di “A qualcuno piace l’horror“, è l’appendice. Se il libro Hammer si concludeva infatti con una ricca galleria di locandine a colori e dati tecnici di ogni pellicola, “Guardatevi dalla luna” si limita a offrire bibliografia e indice dei film.
Una piccola mancanza che non va a intaccare la grandezza del progetto: ancora una volta Leonforte si dimostra penna fondamentale del panorama critico italiano di genere e un altro fondamentale capitolo del cinema horror è ora spogliato di ogni segreto.
Riccardo Nuziale
GUARDATEVI DALLA LUNA – Il cinema dei licantropi
di Stefano Leonforte
Edizioni Leima, 2019
465 pagine
24 euro
Prefazione di Franco Pezzini