Umano, troppo umano
Mai come in un’epoca come la nostra – in cui gli antichi valori sembrano ormai perduti, la politica sembra averci dimenticato e la società sembra dare sempre minor importanza all’essere umano in quanto tale – ci si è sentiti così spiazzati, privi di ogni qualsivoglia certezza, con un forte bisogno di capire chi siamo e quale sia il nostro posto nel mondo. Questa sorta di disagio esistenziale, di conseguenza, tende ad influenzare anche la produzione artistica – e, dunque, anche quella cinematografica – dei giorni nostri. Se pensiamo, ad esempio, alla recente 74° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, notiamo che la maggior parte dei lungometraggi presenti ha messo in scena, in un modo o nell’altro, questa sorta di spiazzamento che sembra pervadere la società odierna. Uno dei film maggiormente rappresentativi in merito è, ad esempio, First Reformed, ultima fatica di Paul Schrader, presentato in concorso ed in cui vediamo sul grande schermo i tormenti interiori di un religioso della provincia americana. Se, però, proviamo a spostare lo sguardo su altre sezioni collaterali, ecco che – restando sempre nel tema della religione – all’interno della sezione Giornate degli Autori, uno dei registi-rivelazione degli ultimi anni, il nostro connazionale Vincenzo Marra, ha dato vita ad un altrettanto interessante prodotto, L’equilibrio, dove di fianco al sopracitato disagio esistenziale, viene trattata anche la spinosa questione dei problemi relativi la cosiddetta “Terra dei fuochi”, vera e propria piaga del nostro paese.
Ci troviamo a Roma. Don Giuseppe, al fine di scappare da una donna che lavora insieme a lui come volontaria e per la quale prova dei sentimenti, chiede di essere trasferito nel suo paese di origine, in provincia di Napoli. Qui prenderà il posto di don Antonio e si scontrerà inevitabilmente con la dura realtà che affligge la sua terra. Tra la lotta contro la malavita locale ed i problemi di salute degli abitanti dovuti alla copiosa presenza di rifiuti tossici, non sarà facile mantenere l’equilibrio che lo stesso don Antonio era riuscito, in qualche modo, a creare.
Un lungometraggio coraggioso, questo ultimo lavoro di Vincenzo Marra. Il regista non esita a toccare temi scomodi, come, appunto, la questione della Terra dei Fuochi, e a mostrarci uno Stato ed una Chiesa vergognosamente assenti ed omertosi. Chiunque voglia rompere l’equilibrio creatosi sembra destinato, dunque, a soccombere. Dal canto suo, il personaggio di don Giuseppe (interpretato da un convincente Mimmo Borrelli) è una figura più che mai umana, non immune ai desideri carnali, che urla, soffre, addirittura bestemmia. Ma che, con tutte le sue “debolezze” di comune mortale, risulta, in realtà, molto più forte e coraggioso di chiunque altro.
La potenza di ciò che è stato messo in scena viene da Marra sapientemente sottolineata da una regia essenziale, diretta, priva di inutili fronzoli, con una macchina da presa che segue passo passo il protagonista con angusti piani sequenza e figure a tratti statiche all’interno del quadro, quasi in una sorta di straniamento brechtiano.
Uno stile molto singolare, il suo, su questo non v’è alcun dubbio. Singolare, ma mai compiaciuto o gratuito. Non a caso, in pochi anni è riuscito a farsi ricordare nell’ambito del panorama cinematografico nazionale ed a creare, allo stesso tempo, un proprio “marchio di fabbrica”. L’efficacia di ciò che viene messo in scena, poi, anche in questo ultimo lungometraggio, si sente eccome.
Marina Pavido