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Disappearance

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VOTO: 7

Non è un paese per giovani amanti

Il cinema iraniano, soprattutto nelle ultime decadi, è stato oggetto anche in Italia di interesse, studi ed apprezzamenti, per via di una così singolare convergenza di modalità estetiche e istanze narrative forti. In ciò il giovane Ali Asgari si sta rivelando il degno epigono di tale tradizione cinematografica. Ma con una peculiarità: trattasi infatti di cineasta profondamente ancorato alle problematiche sociali del proprio paese, ma con importanti storie professionali e di vita vissuta all’attivo proprio qui, in Italia. Ed è durante alcune rassegne italiane di cortometraggi, tra cui il sempre vivace Figari Film Fest organizzato da qualche anno in Sardegna, che avevamo preso confidenza con la sua poetica tanto ruvida e spigolosa nei temi, quanto rigorosa nell’approccio formale.
Corti come Barbie (2012), More Than Two Hours (2013) e The Silence (2016), oltre a ricevere riconoscimenti a livello internazionale (facendo breccia in determinate occasioni persino a Cannes), ci avevano rivelato un timbro autoriale maturo, ben definito. La curiosità per questo suo esordio nel lungometraggio era pertanto più che legittima. E pur con qualche strappo nella parte finale il serratissimo Disappearance (Napadid shodan), presentato alla 74° edizione della Mostra del Cinema di Venezia nella sezione Orizzonti, non ha affatto deluso le aspettative.

Teheran by night. Ma è una notte piena di inquietudini, come sembra anticipare la primissima inquadratura, coi fanali di una macchina a fendere il buio, in una solitaria stradina di periferia. Da lì ha inizio l’allucinante peripezia di una giovane coppia di amanti non proprio regolari, che l’autore fa pedinare incessantemente dalla videocamera nella sempre più disperata ricerca di un aiuto, di un intervento risolutore, tra le corsie di ospedali pubblici e le sale d’attesa di qualche clinica privata. Ma ovunque vadano i due giovani vengono infine respinti, alla puntuale richiesta di documenti. Nessuno capisce che si tratta di un’emergenza? Sì, eccome se capiscono. Ma siamo in un paese, l’Iran, nel quale ancora oggi certe cose non vanno bene se non si è sposati e se le famiglie non sono al corrente. Per cui medici e infermieri si tirano indietro, al momento di soccorrere una ragazza che al suo primo rapporto sessuale ha avuto qualche complicazione, con una consistente emorragia di sangue in corso, pur di non assumersi la responsabilità di violare certe procedure. Sono regole arcaiche e bigotte imposte da una società il cui percorso di laicizzazione appare ancora molto tortuoso. E così la giovane coppia inesperta dovrà fare davvero i salti mortali, pur di risolvere quella situazione kafkiana senza correre rischi inutili e, questione che sembra preoccuparli più di ogni altra cosa, senza incorrere nelle ire dei propri famigliari.

Ali Asgari concentra nell’arco di una notte il labirintico viaggio nei meandri di una società nella quale si avverte da subito una fortissima spaccatura, tra vecchie e nuove generazioni. In ciò si avvale spesso del piano sequenza, strumento da lui molto amato, non come semplice vincolo estetico, ma come risorsa per esplorare in forma ansiogena spazi che si mostrano facilmente ostili e impenetrabili ai due protagonisti. Come le istituzioni che rappresentano. E se questo ci rimanda in qualche misura ad altri grandi nomi del cinema iraniano, un’ulteriore suggestione potrebbe tranquillamente essere l’analoga tendenza presente in quel cinema rumeno contemporaneo, di cui La morte del signor Lazarescu (Moartea domnului Lazarescu, 2005) di Cristi Puiu è forse (anche per via dell’ambientazione ospedaliera) l’opera tematicamente e drammaturgicamente più facile da accostare a Disappearance. Peccato qui per quel finale un po’ lezioso e a nostro avviso meno incisivo, rispetto al resto dell’intreccio. Ma nel complesso quello diretto da Ali Asgari è un lungometraggio d’esordio di notevole pregnanza artistica e sociale, che merita pertanto di essere sostenuto.

Stefano Coccia

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