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L’année du requin

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VOTO: 7

Divieto di balneazione

Ci sono film intoccabili e che dovrebbero rimanere tali, poiché capaci di di scrivere pagine importanti nella storia della Settima Arte, entrando nell’immaginario comune per restarci all’infinito. Uno di questi è Lo squalo, uno dei cult del cinema spielberghiano e non solo, che dal 1975, anno del suo approdo sul grande schermo, ha visto innumerevoli tentativi di imitazione affacciarsi nelle sale, in televisione e più di recente sulle piattaforme streaming. Un’inevitabile quanto scontata conseguenza diretta del successo planetario ottenuto dal film del cineasta statunitense. Il ché a spinto produttori e colleghi alla varie latitudini ad azzardare dei tentativi più o meno simili pur di cavalcare l’onda, spesso cambiando degli elementi con altri per evitare il plagio, ma con risultati che nella stragrande maggioranza dei casi ha lasciato a desiderare. Il fatto che si trattasse di un’opera di assoluta caratura e di ottima fattura per le potenzialità tecniche dell’epoca non è servito a fare desistere un’orda composta da temerari e sprovveduti dallo sfidare sullo stesso terreno quello che nel frattempo era diventato un vero e proprio modello.
Tra gli ultimi a decidere di attingere a piene mani da quella che è considerata una grande fonte d’ispirazione per chi ha scelto di frequentare il filone in questione, ossia del monster movie che si mescola senza soluzione di continuità con l’horror o il survivor movie, ci sono i gemelli di Ludovic e Zoran Boukherma, che per il loro terzo lungometraggio dal titolo L’année du requin dopo dopo Willy 1er e Teddy hanno voluto a testa bassa sfidare la sorte. Fortuna loro e anche nostra, che lo abbiamo visto transitare nel concorso della 14esima edizione di France Odeon, il risultato è riuscito a rimanere miracolosamente a galla, sfuggendo così alla discesa verso i fondali della mediocrità sui quali sono parcheggiati i relitti di quei film che non retto in nessun modo il confronto. Consci del duello impari con la matrice originale, inarrivabile sotto moltissimi punti di vista, il duo ha provato una strada alternativa e personale per condurre in un porto sicuro la barca con a bordo plot e personaggi, prevenendo così, nonostante il chiaro riferimento, il confronto/scontro attraverso un loro approccio. Lo hanno fatto mantenendo per l’intera durata a disposizione le dedite distanze dalla fonte d’ispirazione apportando delle variazioni narrative e drammaturgiche in fase di scrittura, a cominciare ovviamente dal cambio di geolocalizzazione della vicenda dalla spiaggia del New England a una piccola città costiera nel sud-ovest della Francia, dove a fronteggiare il feroce squalo di turno non ci sono il capo della polizia locale e un biologo marino, bensì una pittoresca task force guidata dalla determinata guardia marittima Maja, qui interpretata da una sempre convincente Marina Foïs. Questa convinta che le acque siano infestate dal predatore, posticipa la pensione per dargli la caccia, ma dovrà vedersela anche con gli interessi individuali, il provincialismo, l’efferatezza e lo pseudo ecologismo.
Anche se sulla carta potrebbe essere un remake in salsa transalpina, L’année du requin e i suoi autori ci hanno tenuto sin da subito a scrollarsi di dosso un tale macigno. La scelta è stata quella di prendere in prestito la vicenda spielberghiana per raccontare proprio quel provincialismo che gli era stato stretto, nel quale erano cresciuti e dal quale avevano voluto sfuggire. Per farlo sono tornati nei luoghi della loro infanzia e hanno “usato” le basi del plot del film del 1975, oltre ai temi e agli stilemi del genere al quale appartiene, per raccontare una storia di coraggio e di lotta alle forme mentis che rendono il mondo un posto peggiore. Nobili intenti, questi, che di fatto sottraggono il film dall’ennesimo furbo e urticante tentativo di clonazione di un cult (vedi i vari Shark Il primo squalo, Shark Bait e Shark 3D) spinti il più delle volte da motivazioni commerciali più che da una vera esigenza creativa. Ma non è il caso dei Boukherma, che appartengono a quella generazione di giovani registi francesi audaci che osano scavalcare i confini dei generi, mescolano esplorazione sociale e cinema fantastico, immergendo gli intrecci in territori spesso trascurati sul grande schermo. Loro tengono la narrazione in equilibrio tra serietà e bizzarria, senza mai scivolare del tutto nella parodia come invece è accaduto nella saga di Sharknado, combinando con ritmo sostenuto, un sali e scendi di tensione, la commedia con il dramma e l’orrore. Vedi il primo scontro tra la task force e lo squalo toro. Lo hanno fatto con i lavori precedenti e lo hanno rifatto anche stavolta con una rivisitazione che con disinvoltura e senza pretese gioca con un film che è stato e continua ad essere anche a distanza di decenni un riferimento per intere generazioni di cineasti e spettatori.

Francesco Del Grosso

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