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The Lair

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VOTO: 5.5

Trouble in Afghanistan

Ancora una volta un personaggio femminile “extra-strong” viene posto al centro del cinema di Neil Marshall. In The Lair – presentato in anteprima italiana e fuori concorso nella sezione Neon del Trieste Science+Fiction 2022 – tocca al pilota della RAF Kate Sinclair, una volta precipitata sul suolo straniero, dimostrare tutta la propria abilità di combattente; e non solamente in senso tradizionale. Anche perché, tra le fila dei nemici, non vanno annoverati unicamente i tradizionali mujaheddin afgani da tipico film bellico, ma pure delle creature mostruose generate da esperimenti biologici, evidentemente non andati troppo bene, eseguiti dall’Unione Sovietica ai tempi della loro invasione di quella terra tra il 1979 e il 1989. Intenti a creare una formidabile arma definitiva incrociando il DNA umano con quello alieno presente in un’astronave precipitata nel territorio.
Sin qui i cenni diegetici, che dovrebbero far già risuonare nell’appassionato cinefilo qualche eco nemmeno di poco conto. Purtroppo quando un regista come Marshall comincia a ripetersi non è mai un buon segno e la tendenza negativa si conferma anche questa volta. Infatti, scottato dal crudele fallimento sia artistico che di botteghino, di Hellboy (2019) il regista inglese originario di Newcastle pare aver ripiegato su produzioni a basso costo e affatto originali dal punto di vista cinematografico. The Lair, appunto, ricorda sin troppo da vicino il lungometraggio che, nel 2002, rivelò l’indubbio talento di Marshall per la commistione di generi, cioè Dog Soldiers, con annessa strategia dell’assedio tanto cara a John Carpenter. Poi esplicitata in opere di alta efficacia spettacolare e simbolica come il superbo The Descent (2005) oppure il vertiginoso Centurion (2010).
Tutt’altra musica, sfortunatamente, viene suonata in The Lair (la tana, con riferimento al laboratorio sovietico nemmeno troppo segreto dove si annidano le creature in questione, gigantesche, feroci e carnivore) che rivela subito la propria appartenenza ad una categoria inferiore non solo per la scarsa originalità del plot ma soprattutto a causa della scelta dell’attrice protagonista, dal fisico atletico e sinuoso quanto si vuole ma decisamente poco portata alla recitazione. Se poi si scopre dalla lettura dei crediti che la stessa Charlotte Kirk è anche cosceneggiatrice e coproduttrice assieme a Marshall, nonché sua compagna sentimentale nella vita di tutti i giorni, ecco che le cose iniziano ad avere un senso, senza che quest’ultimo giovi però più di tanto alla riuscita complessiva del film. Il quale certamente si lascia guardare nelle scene d’azione, terreno prediletto del regista, non facendosi mancare nemmeno qualche buon momento splatter destinato a soddisfare gli appassionati; eppure nel complesso lascia l’amaro in bocca per la sostanziale pochezza di mezzi ed idee dell’insieme.
Tutto il resto, compresa un’esagerata e per questo inconsulta esaltazione dell’eroismo cameratesco, sempre portata al massimo sacrificio per salvare i commilitoni, è pura fuffa aggiunta per allungare il minutaggio del film fino alla canonica durata di un’ora e mezza, così come la descrizione dei vari personaggi di contorno – eccezion fatta per l’afgano “buono” – effettuata in modalità a dir poco approssimativa.
C’è da sperare che Marshall, il cui stile dinamico di regia resta ancora degno di attenzione, trovi progetti più confacenti ai propri mezzi; anche se il sodalizio artistico e non solo con Charlotte Kirk – visto anche l’opinabile riuscita del precedente The Reckoning (2020) – non sembra esattamente promettere alternativi orizzonti di gloria alla sua carriera.

Daniele De Angelis

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