Ucronia, ucronia canaglia
Immagini proiettate sullo schermo in quattro terzi. Filmati d’archivio sapientemente mescolati alle scene girate per l’occasione. Una fotografia in bianco e nero calibratissima ad amalgamare il tutto. Montaggio tambureggiante e ingegnoso. Già sul piano squisitamente formale ve ne sono di elementi, in LOLA, che almeno sulla carta possono stuzzicare il più ricercato sguardo cinefilo. Non sempre, però, la capacità di curare la forma e di sperimentare con il linguaggio filmico riesce a sposarsi con un’analoga brillantezza, nello strutturare la componente drammaturgica. Il miracolo del lungometraggio realizzato da Andrew Legge consiste perciò proprio in questo, nell’aver associato a una cura certosina delle scelte formali quella strabiliante intuizione narrativa, la cui genialità è destinata a uscir fuori poco alla volta.
Del resto il cineasta irlandese non è nuovo a simili sortite: nel 2009 aveva infatti diretto The Chronoscope, ardito mockumentary incentrato sulla fittizia biografia di uno scienziato che si supponeva avesse inventato, negli anni’30, un macchinario in grado di far vedere alle persone il passato.
Il brivido che si prova nel varcare le barriere spazio-temporali deve essere rimasto per l’autore un’ossessione. Già, perché in questa più ambiziosa co-produzione tra EIRE e Regno Unito l’attenzione scivola, con risvolti ancora più paradossali e stupefacenti, verso il futuro nonché verso la possibilità di modificare lo stesso.
In LOLA, presentato nel corso del Trieste Science + Fiction Festival 2022, vi è poi un altro espediente ottimamente utilizzato: il cosiddetto found footage, nella fattispecie il finto ritrovamento di nastri che si immagina possano testimoniare la straordinaria esperienza vissuta a ridosso della Seconda Guerra Mondiale da Thom e Mars, due giovani sorelle inglesi rimaste orfane e con in loro possesso, nella villetta di campagna ereditata dai genitori, una macchina a dir poco prodigiosa. Con essa possono infatti intercettare programmi radiofonici e televisivi provenienti dal futuro. All’inizio useranno tale scoperta con più leggerezza, guadagnando cioè discrete somme grazie a qualche scommessa sui cavalli o curiosando tra le band, i cantanti e gli attori di un’epoca che deve ancora arrivare. Ma in seguito, allo scoppio del sanguinoso conflitto, verrà loro in mente di usare il macchinario per aiutare i propri connazionali a subire meno perdite possibili, in quella guerra coi tedeschi da cui sanno già che sarebbero usciti comunque vittoriosi!
Solo che a scherzare coi paradossi spazio-temporali non si sa mai di preciso quali conseguenze potrebbero esserci. E così, a un certo punto, le due sfortunate ragazze rischieranno addirittura di capovolgere l’esito del conflitto a favore dell’Asse, passando così da misteriose eroine a traditrici della Patria stigmatizzate da tutti…
In LOLA la parte di finzione è così ben congegnata da ibridare ulteriormente la pur sfiziosissima traccia del mockumentary, al punto di costituire quasi un corrispettivo cinematografico di quegli ingegnosi romanzi fantastici, il cui filone viene spesso definito “ucronico”. Tale è anche la cornice drammaturgica di LOLA, in cui l’autore si diverte a immaginare quali ipotetici sviluppi avrebbe avuto la storia mondiale, se certi episodi fondamentali fossero andati diversamente. Molto diversamente, in questo caso.
Ma considerando che Andrew Legge è anche un grosso appassionato di musica pop e rock, a parte il peso pur ragguardevole degli stravolgimenti in ambito bellico, sta proprio nel modo di rielaborare – e quindi omaggiare, trasversalmente – le parabole di certi grandi artisti, come ad esempio Bob Dylan e David Bowie, uno dei tratti più sfiziosi di un’opera cinematografica che non difetta certo di sottile umorismo.
Stefano Coccia
Un articolo molto curato e interessante- ha ben apprezzato il nostro piccolo lavoro fatto con tant o cuore e umorismo – grazie! – Angeli Macfarlane, Co-scrittrice
Miss Angeli MacFarlane, good morning! Confermo di aver apprezzato molto lo humour e l’inventiva di questo vostro lavoro cinematografico, tant’è che è stato poi appassionante anche scriverne, sulla nostra rivista. E aggiungo anche i miei complimenti, per l’importante premio ricevuto ieri a Trieste!