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La terra dei santi

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VOTO: 6

Guerre di ‘ndràngheta e ritratti di donna

Nonostante l’appoggio di Rai Cinema trovato in corso d’opera, La terra dei santi resta nella sua genesi un piccolo film indipendente, al quale per almeno due ragioni sarebbe il caso di prestare attenzione. In primo luogo per lo spessore della sceneggiatura, nell’accostarsi a un fenomeno delicato e dalle profonde implicazioni sociali, come la ‘ndràngheta. Ma anche, in seconda battuta, per lo scarso sostegno ricevuto dalla Calabria, a partire proprio dalle istituzioni e dagli enti preposti, quando si è trattato di appoggiare fattivamente la realizzazione di un film che può anche risultare scomodo; quantomeno dalla prospettiva di coloro che, ipocritamente, preferiscono nascondere la sporcizia sotto al tappeto. Tant’è che tale lungometraggio alla fine lo si è girato in Puglia, grazie anche agli impegni presi e mantenuti da una film commission più seria, disponibile ed efficiente. Detto questo, l’opera dell’esordiente Fernando Muraca non è certo immune da difetti. Il cineasta di origini calabresi, che ha studiato poi a Roma, per un lungo periodo si è dedicato a lavori televisivi, il che anche qui in certi momenti sembra penalizzarne lo sguardo. Soprattutto nella primissima parte la regia è troppo da fiction televisiva, sia nel ritmo, sia nella scelta delle inquadrature, sia nel modo in cui vengono introdotti determinati stacchi di montaggio. Poi, andando avanti, si ha l’impressione che venga acquisito un maggiore respiro cinematografico, grazie anche all’ottima fotografia di Federico Annichiarico, bravo a modulare le potenzialità di immagini opportunamente desaturate e ad adattarle, per esempio, ai particolari momenti della giornata scelti per le riprese in esterno. Ed è un bene che piano piano il livello della regia tenda a elevarsi, adeguandosi, seppur parzialmente, all’interesse intrinseco della narrazione, poiché l’interazione tra i personaggi dal canto suo regala scene dal notevole effetto drammaturgico.

Abbiamo appena cominciato a parlare dei personaggi. Ciò che piace del film di Muraca, scritto assieme alla “specialista” Monica Zapelli (suo il memorabile script de I cento passi) non è soltanto la lucidità nel dipingere una delle realtà mafiose più oscure, impenetrabili e radicate della penisola, ma anche e soprattutto l’intensità di certi ritratti femminili.
Come viene brillantemente riassunto nelle battute conclusive de La terra dei santi, nascere donna in contesti legati alla ‘ndràngheta può voler dire, in Calabria, farsi carico di pressioni talvolta insostenibili e in molti casi perdere uno alla volta i propri congiunti, brutalmente ammazzati nel corso delle frequenti faide tra clan o, nel migliore dei casi, soggetti a lunghe pene detentive per via dei loro stessi crimini.
La fortuna di chi ha scritto e diretto La terra dei santi è stata perciò quella di mettere su un cast, soprattutto la parte femminile, che la ferocia anche psicologica di simili situazioni ha saputo renderla, sullo schermo, in modo vibrante e sincero. La maternità acquista qui un ruolo centrale. Ai morti ammazzati cui si allude all’inizio se ne aggiungerà ben presto uno, poco più che ragazzo, la cui tragica fine è per la madre, fino ad allora fedele ai dettami della ‘ndràngheta, uno stimolo per rimettere in discussione le proprie scelte; con l’obiettivo dichiarato di non ritrovarsi tutti i propri figli morti o in prigione, per quanto la stessa cronaca insegni che iniziare a collaborare con la giustizia, per le donne appartenenti a certe famiglie, può comportare ritorsioni di inaudita ferocia. Accade così che le scene più significative ed intense dell’opera coincidano coi dialoghi tra due donne di mafia dal temperamento diverso, l’irriducibile Caterina impersonata da Lorenza Indovina e la fiera ma sempre più provata Assunta, duramente colpita dai lutti, dagli arresti o da altre dolorose separazioni. Magnifica e quasi statuaria la sua interpretazione da parte di Antonia Daniela Marra, calabrese DOC, vera e propria attrice rivelazione. Altrettanto riusciti i suoi duetti con una donna coraggiosa che ha scelto di stare dall’altra parte della barricata, Vittoria, giudice venuta da fuori che ha i tratti energici e la femminilità spigolosa, ma ugualmente attraente, di Valeria Solarino. Se al quadretto già delineato aggiungiamo le prove credibili di attori come Ninni Bruschetta e Tommaso Ragno, chiamati a interpretare rispettivamente un uomo della polizia e un boss locale, si può intuire quanto il ritratto ambientale risulti plausibile, di sicuro ben concepito anche nell’alludere al difficoltoso dialogo tra lo Stato e quel territorio che spesso si è sentito abbandonato, tradito.

Molto probabilmente in questi anni ci sono stati film di mafia cinematograficamente più brillanti, ispirati, dal sottostimato Angela di Roberta Torre (un altro bel focus sulla condizione femminile, con la Sicilia sullo sfondo) al più recente Anime nere di Francesco Munzi, calibratissimo noir ambientato sempre in Calabria. Ma anche se complessivamente l’impatto non è lo stesso, con la sua onestà di fondo e con un certo coraggio La terra dei santi aggiunge un tassello rilevante, non trascurabile, a quella ricerca cinematografica che ha tutte le ragioni di mettere in primo piano tali problemi.

Stefano Coccia

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