Bambini in affitto
Fine Ottocento. Per lenire i morsi della miseria nera le famiglie piemontesi di confine erano solite concedere in affitto i propri figli a loschi individui, incaricati di varcare la frontiera e farli lavorare in Francia. Il film La storia di Cino racconta per l’appunto di uno di questi bambini.
Dopo questo breve cenno sulla trama, una premessa doverosa: di film come quello del tardo esordiente Carlo Alberto Pinelli – una lunga carriera da documentarista, perlopiù televisivo – ce ne vorrebbero in misura maggiore. Questo perché possiedono l’innegabile pregio di essere girati a misura di bambino, cioè con una precisa componente pedagogica assai rara e utile in una società che pare aver dimenticato una funzione utile dei media. Pinelli – anche sceneggiatore con Giovanni De Feo – appartenente ad una generazione decisamente anteriore, in senso positivo, recepito il vento che tira al momento sposta sì indietro l’orologio della storia ma sembra parlarci del presente, mescolando con disinvoltura racconto di formazione con accenti fiabeschi – e annessi orrori – e opera di denuncia sociale, sottolineando come gli effetti di una crisi possano portare le famiglie a commettere errori irreparabili. La visione è dunque consigliata a genitori e bimbi, desiderosi di trascorrere insieme un’ora e mezza per poi fermarsi a riflettere i primi sulle difficoltà e le responsabilità di essere padri o madri, i secondi su quanto sia impegnativo – ora al pari di allora, sia pure in contesti ovviamente del tutto differenti – intraprendere un percorso di crescita.
Poi però ci sarebbe anche da parlare in termini più o meno critici del film, e allora il discorso si fa un tantino più complesso. Se Pinelli si dimostra discretamente abile nella direzione dei piccoli interpreti – i volenterosi ma non del tutto spontanei Stefano Marseglia nella parte di Cino e Francesca Zara in quelli della compagna di avventura Catlin – le pecche a livello di regia sono purtroppo abbastanza evidenti, con ad esempio errori di continuità nei campi/controcampi e persino, nella primissima parte, un utilizzo dei vecchi trasparenti come sfondi piuttosto ingenuo, definendo i contorni di una messa in scena decisamente spartana. A salvare la confezione estetica c’è la bellezza naturale del paesaggio, che Pinelli – forte dei suoi trascorsi di documentarista – riesce comunque a cogliere abbastanza bene nei particolari. Anche la sceneggiatura, molto incerta tra veridicità neorealista e fantasia da leggenda popolare, troppo spesso si rifugia nella favola per giustificare svolte narrative in assoluto prive di verosimiglianza (un bambino di nove anni che da solo attraversa le Alpi!) oppure la comparsa di personaggi (la giovane coppia di pescatori di acciughe diretti a Nizza) che sembrano, per la loro immagine e i loro discorsi, direttamente usciti da qualche pubblicità del Mulino Bianco o affini. Per tacere poi di un assai poco motivato twist finale, che potrebbe lasciare discretamente interdetti proprio gli spettatori più piccini, non ancora in grado di comprendere quanto sia labile, in determinate circostanze, il confine tra la vita e la morte. Sperando che intervengano, a quel punto, genitori in grado di spiegarlo nella maniera più chiara e indolore possibile…
Ad ogni modo l’Unicef ha “sponsorizzato” il messaggio del film, contrario a qualsiasi forma di sfruttamento del lavoro minorile. Non si tratta, in verità, dell’aspetto più approfondito de La storia di Cino, e tuttavia ci pare davvero impossibile non concordare in pieno. Ribadendo dunque la speranza che il film possa essere visto da quante più persone possibili, aggiungiamo però che la propria dimensione ideale sembra essere quella televisiva, sia a livello estetico che di contenuto. Magari nel pomeriggio di un giorno di festa da passare insieme in famiglia, a vedere un film per poi discuterne come si faceva una volta, prima che i ritmi convulsi sballassero per sempre le nostre esistenze affannate di genitori, anche per questi e altri motivi, mancati. Pure nel caso si siano effettivamente messi al mondo dei figli.
Daniele De Angelis