Siamo tutti colpevoli
Un piccolo paesino sulle Dolomiti. Poche sere prima di Natale. Una ragazzina adolescente scomparsa nel nulla. Non sarà facile scoprire chi si trova dietro questa misteriosa sparizione. Non sarà facile nemmeno per il rinomato agente Vogel, solito ad usare mezzi poco convenzionali al fine di portare avanti le indagini e non disdegnando nemmeno dell’aiuto della stampa. Basta un incipit come questo, di fatto, a regalare ad un lungometraggio come La ragazza della nebbia – tratto dall’omonimo romanzo di Donato Carrisi, qui anche alla sua prima esperienza da regista – tutto quel che serve per catturare l’attenzione dello spettatore fin dai primi minuti. E la cosa davvero interessante è che questo primo lavoro di Carrisi riesce a mantenersi su un buon livello per oltre due ore di durata. Ma andiamo per gradi.
Particolarmente adeguata a raccontare le vicende messe in scena è la location, qui trattata alla stregua quasi di coprotagonista: Avechot, piccolo paesino delle Dolomiti in cui tutti gli abitanti si conoscono tra loro, fa sì che il giallo della scomparsa della giovane ragazzina ci ricordi tanto, almeno inizialmente, i nostri tanto amati gialli alla Agatha Christie. Le montagne, l’isolamento dal resto del mondo, la maggior parte degli esterni girati in notturna e, soprattutto, la neve, dal canto loro, fanno sì che l’atmosfera che tutti noi fin dai primi minuti viviamo diventi sempre più claustrofobica, analogamente ai risvolti dello script, impeccabile e curato nel dettaglio, nonché particolarmente attento ai più intricati aspetti della psicologia di ogni singolo personaggio.
Vi sono non pochi colpi di scena, forse addirittura troppi, ne La ragazza della nebbia, quello sì. Eppure Carrisi, quale autore ormai consapevole e con grande esperienza alle spalle, riesce a gestirli tutti senza mai lasciarsi prendere eccessivamente la mano.
Ma non finisce qui. Ciò che il regista vuole mettere in scena non è solo l’appassionante storia di una ragazzina scomparsa, bensì anche un ritratto cinico e tagliente della società odierna, dove i soldi – come più volte viene affermato anche dal professor Martini, principale sospettato del rapimento – fanno da attori principali nel determinare i rapporti umani e, soprattutto, sono il principale movente di qualsiasi crimine e dove il voyeurismo e la voglia di apparire si fanno caratteristiche principali di ogni singolo essere umano. Senza eccezione alcuna.
E poi c’è la stampa. Il cosiddetto quarto potere che, anche nel risolvere alcune indagini, può diventare fondamentale, ma che, allo stesso tempo, non si fa scrupoli quando si tratta di mettere nei guai chiunque voglia ostacolare il suo operato.
È, in parole povere, una società malata, questa che ha voluto raccontarci Donato Carrisi. Una società che non si salva neanche se isolata dal resto del mondo senza la possibilità di cedere a pericolose tentazioni. Una società all’interno della quale nessuno ne uscirà completamente pulito e che, al contrario, sceglierà come vittima sacrificale il suo membro più innocente ed indifeso. In poche parole, la stessa storia universale che si ripete da secoli. E che, qui, da Donato Carrisi, è stata riscritta e reinventata, diventando attuale come non mai.
Marina Pavido