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La gita

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VOTO: 7.5

Sogni infranti e nuove speranze

Salvatore Allocca, con il suo cortometraggio intitolato La gita, dimostra come sia possibile parlare di differenze razziali, immigrazione e possibile integrazione attraverso un racconto privo di esasperazioni narrative, anzi cercando e trovando una “normalità” diegetica dal valore davvero encomiabile. Tutto questo sempre con lo sguardo ben attento alle tematiche di cui sopra, purtroppo molto spesso al centro di pretestuose strumentazioni politiche, nel nostro paese e non solo. La scelta ricade dunque su un tipo di messa in scena minimale, in tutto e per tutto consapevole della lezione impartita dal neorealismo dell’immediato dopoguerra. Dall’esigenza cioè di catturare la vita quotidiana nell’istante stesso del proprio fluire. Ed è il sapore di verità che permea ogni inquadratura del lavoro di Allocca a rendere La gita un oggetto cinematografico vitale e credibile, lontano dalla banalità di un’operazione costruita a tavolino ed esclusivamente tesa alla denuncia o, peggio, al romanzetto popolare.
Protagonista de La gita, opera presentata alla quindicesima edizione dell’ÉCU – The European Independent Film Festival, è Magalie, adolescente che frequenta un istituto liceale in una zona periferica della Campania. Brillante negli studi, aiuta i suoi compagni nel percorso scolastico. Nella classe c’è fermento, perché è alle porte una gita (da cui il titolo) nientemeno che a Parigi. E il sogno nascosto di Magalie è proprio quella di visitare la capitale francese, godendo magari della vista panoramica dall’alto della ruota più alta del mondo. Un desiderio che si arresta sul più bello. Perché Magalie è del colore “sbagliato”, essendo la sua famiglia originaria del Senegal. In fatti i genitori le annunciano che sfortunatamente la loro posizione di immigrati non è stata ancora regolarizzata, e perciò in qualunque altro paese sarebbe considerata come clandestina, ossia al di fuori delle leggi vigenti. Una delusione cocente a cui Magalie non accetta di rassegnarsi.
Questo è il fulcro narrativo de La gita. Quasi un piccolo canto poetico dai toni sommessi che, per i suoi quasi quindici minuti di durata, mette a fuoco la difficoltà di essere percepiti come “diversi”, a causa di una burocrazia che non conosce alcun tipo di sentimento. Altrimenti, ovvio, non sarebbe considerata tale. L’inserimento nel tessuto sociale può arrivare solamente con una totale predisposizione delle due parti. In primo luogo quella della diretta interessata, poi grazie all’affetto di un coetaneo italiano, pronto a dimostrare come il mondo non possa e debba finire in quella che è l’età della spensieratezza per eccellenza. Perché ogni difficoltà, stando insieme, può risultare alla fine superabile.
Il “miracolo” operato da La gita è dunque compiuto: il colore della pelle vede ridotta, nell’evolversi del corto, la propria importanza. Crescere ritorna ad essere il mestiere difficile che è stato per tutti, bianchi, neri o gialli. E dal dolore si può trarre lo spunto per diventare migliori. Insieme. Catturando così la totale empatia di chi guarda da dietro lo schermo. Un racconto di formazione assieme gentile ed incisivo, piccola gemma di armonia in un mondo che spaccia mendacemente la divisione razziale e sociale come ultima spiaggia per la sopravvivenza. Guardare con attenzione un corto dal titolo La gita potrebbe essere un eccellente rimedio a tale, palese, falsità propagandistica.

Daniele De Angelis

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