Coito ergo sum
Un’erezione, un’erezione triste
Per un coito molesto
Per un coito modesto
Per un coito molesto
CCCP, “Mi ami?”
In concorso alla Festa del Cinema di Roma 2023, La erección de Toribio Bardelli si è imposto all’attenzione quale germoglio, alquanto promettente, di una cinematografia peruviana che della cultura latinoamericana in genere pare mutuare, intanto, una prerogativa importante: l’andare oltre il dato nudo e crudo offerto dal reale, sublimandolo tramite una rappresentazione che tenda ora verso una dimensione simbolica, ora verso una cifra stilistica più cruda, materica. In sintonia con ciò, l’oscillare dell’anziano protagonista Toribio (ovvero un Gustavo Bueno eccellente nel renderne quell’aria così esausta, inquieta, accigliata) tra il territorio di Eros e quello di Thanatos, cui l’età stessa drammaticamente lo avvicina, assume sfumature diverse che in certi momenti appaiono di impronta maggiormente “veristica”, in altri decisamente tendenti al grottesco.
Dal Perù il giovane cineasta Adrián Saba, sguardo già sufficientemente maturo sebbene la padronanza narrativa non sia ancora perfettamente rodata, ci introduce a una Lima prevalentemente notturna, crepuscolare, in cui i singoli componenti della famiglia di Toribio, una famiglia tutt’altro che compatta, si aggirano come anime in pena. Ma è soprattutto il protagonista con la sua ansia di recuperare nella vedovanza, attraverso una rincorsa spasmodica al sesso e a nuove relazioni, tutto il tempo che ritiene d’aver perso in una quieta, borghese relazione matrimoniale, ad accumulare su di sé le tensioni (e le contraddizioni) maggiori. Un atteggiamento ben evidenziato, a livello registico, nella notevolissima sequenza posta quasi verso la fine, allorché (complice la colonna sonora) l’incontro tra Toribio e una sua vecchia fiamma comincia in modo estremamente passionale, sentimentale, per spegnersi poi in circostanze connotate da un modesto squallore.
Adrián Saba si dimostra innanzitutto buon tessitore di atmosfere, cui conferisce a tratti un umorismo sottile e beffardo. Come accennato poc’anzi, parte integrante di questa poetica è l’utilizzo delle musiche, sempre molto aderenti ai personaggi e alle situazioni: restano quindi impresse l’ossessiva riproposizione della Casta Diva interpretata dalla Callas come pure la smodata ammirazione di un barista per Elvis. Dove il film invece un po’ si perde è nel seguire le tracce dei figli di Toribio, tre personaggi parimenti interessanti e spesso inadeguati – al pari del padre- di fronte alla vita e ai suoi inganni, che meritavano forse – visto il loro potenziale – di essere sviluppati maggiormente in sceneggiatura.
Stefano Coccia