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A Place Called Silence

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VOTO: 7,5

Il martello non perdona

Gli assidui frequentatori ed estimatori delle cinematografie del Sud-Est asiatico avranno già avuto modo di constatare la loro capacità di costruire complessi schemi co-produttivi in grado di coinvolgere i paesi dell’area ma anche di altri Continenti, con formule vincenti che hanno consentito e continuano a consentire a molti autori locali di imporsi sulla scena internazionale. Prendiamo ad esempio quella malesiana, sicuramente non tra le più celebrate e conosciute della zona geografica chiamata in causa, ma che ha comunque saputo mettere in mostra le sue qualità ogniqualvolta le è stata data l’opportunità. Pensiamo ad esempio ad A Place Called Silence di Sam Quah, co-produzione tra Malesia e Taiwan, presentata in concorso della quinta edizione di Oltre lo specchio, dove ha vinto il premio per il miglior film, confluita nel programma del “Malaysan Day”, la giornata che la kermesse milanese ha voluto dedicare alla cinematografia in questione.
Dopo il successo di Sheep Without a Shepard, il regista sino-malese torna sui temi a lui cari della colpa, del perdono, della fede e del silenzio come metodo per far sentire la propria voce. Lo fa con un thriller-poliziesco che racconta la vicenda di un killer seriale che terrorizza una scuola di studentesse non ancora maggiorenni. Un istituto di regole rigide, inflessibili, la Jing Muh High School, dove Angie, figlia del preside si trincera, assieme a Madre Tong, in un silenzio prodromo di future disgrazie: omicidi, rapimenti e torture.
Quah tesse una fitta ragnatela narrativa per alimentare una trama mistery e crime che utilizza i meccanismi e gli stilemi dei generi chiamati in causa per affondare le mani e parlare di colpa, peccato, perdono e giudizio. In tal senso il titolo da lui scelto per questa nuova fatica dietro la macchina da presa, solida registicamente e percorsa da una pioggia battente che è tutto tranne che purificatrice, riassume in sé l’omertà, ma anche il senso di moralità che pervade tutti i personaggi. Ed è a quest’ultimi che l’autore presta grandissima attenzione, concentrandosi sulla poliedricità psicologica e sull’ambiguità di fondo che nascondono. Il ché genera un vorticoso e continuo capovolgimento di fronte e con esso delle posizioni all’interno della storia, impedendo di fatto alla soglia tra il bene e il male di manifestarsi con chiarezza agli occhi dello spettatore, costretto a sua volta a non schierarsi da una parte piuttosto che dell’altra.

Francesco Del Grosso

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