Nella stanza dei bottoni
L’assassino torna sempre sul luogo del delitto, ma nel caso di Santiago Mitre è solo un modo di dire con il quale abbiamo deciso di aprire questa pubblicazione per raccontare il ritorno del regista argentino al Torino Film Festival. Dopo la fortunata esperienza nel 2015 con Paulina, vincitore del premio per la migliore attrice protagonista, Mitre approda alla 35esima edizione della kermesse piemontese nella doppia veste di giurato e di autore de La cordillera (nella titolazione italiana ribatezzato Il Presidente). A ospitare la sua ultima fatica dietro la macchina da presa a qualche mese di distanza dall’anteprima al Festival di Cannes 2017 (Un Certain Regard), la sezione non competitiva Festa Mobile.
La quarta pellicola del cineasta sudamericano ci conduce per mano in un albergo sulle Ande dove è in programma un cruciale summit tra i Presidenti dei Paesi dell’America Latina per dettare le regole di un nuovo accordo petrolifero, capace di restituire centralità geopolitica a tutta la zona. Dal canto suo, il leader argentino tesse la propria trama strategica, ma nel frattempo sarà costretto anche ad affrontare una crisi familiare.
L’albergo perso tra i panorami mozzafiato e gelido delle montagne cilene è la cornice dove va in scena un tesissimo thriller morale che mescola pericolosamente ragion di Stato e fantasmi personali. Ed è con questo doppio piano drammaturgico e narrativo che prende forma e sostanza la timeline. Perfettamente calibrato, in tal senso, è il l’intersecarsi, ma anche l’alternarsi, dei suddetti piani. Merito di una scrittura attenta e precisa, sia quando si tratta delle dinamiche corali che di quelle dei singoli, in primis quelle che riguardano il protagonista, autentico baricentro che con le proprie decisioni è in grado di spostare i delicati equilibri e muovere i sottili fili presenti dentro e fuori dalla cosiddetta stanza dei bottoni. E la performance davvero convincente di Ricardo Darín nel ruolo del leader argentino ha contribuito enormemente alla causa e alla valorizzazione della scrittura.
Ma la vera arma in possesso di Mitre per La cordillera è la sapiente costruzione della tensione, una tensione cristallizzata e conservata latente dal primo all’ultimo fotogramma utile. Questa non esplode mai sullo schermo e non provoca feriti, piuttosto implode generando onde d’urto sotto la crosta del racconto e negli stati d’animo dei personaggi principali e secondari. L’autore, infatti, è bravissimo a non disperderla, dosandola nell’intero arco narrativo per alimentarlo costantemente e tenere alta la soglia d’attenzione dello spettatore di turno. Il risultato è un’opera magnetica, costruita sia sul versante narrativo che formale per ipnotizzare il fruitore. Quest’ultimo si troverà di fatto a fare i conti con quella che è a tutti gli effetti una riflessione sul Potere e sulle sue tentacolari diramazioni oscure, illecite e machiavelliche, per lo più legate a giganteschi interessi economici e a pericolosi intrighi di palazzo.
Francesco Del Grosso