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Bamy

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VOTO: 4.5

Piovono ombrelli rossi

Un giorno Fumiko s’imbatte nell’ex compagno di scuola Ryota. Come sospinti da una forza più grande di loro, i due decidono si sposarsi. Durante i preparativi, però, Ryota è sempre più turbato dalla capacità segreta di vedere i morti, e a poco a poco il rapporto con Fumiko si corrode. L’incontro con Sae Kimura, una donna con le stesse capacità di Ryota, non fa che peggiorare le cose, finché un giorno, improvvisamente, l’uomo perde il suo potere e si accorge di quanto in realtà ne fosse dipendente. Sconvolto, decide di dare un taglio al passato e al rapporto con le due donne. Ma i legami formati dal destino non possono essere interrotti per volontà di un semplice uomo.
Dopo la lettura della sinossi di Bamy quale cultore della materia o semplice appassionato di cinema di matrice horror può riuscire a resistere alla tentazione di andare a vederlo. La prima occasione utile per noi si è presentata nel corso della 35esima edizione del Torino Film Festival, dove l’esordio alla regia di Jun Tanaka ha avuto il suo battesimo di fuoco fuori dai confini nazionali dopo la premiere all’Osaka Asian Film Festival 2017. Del resto, le poche righe che vanno a comporre il plot si portano dietro tutta una serie di riferimenti cinematografici e di suggestioni legate al genere di riferimento e al ricchissimo filone di produzione asiatica, in particolare nipponica, nel quale il film in questione si va geneticamente a collocare. Proprio in virtù di questo, l’attesa era alta e le speranze riversate nel lavoro di Tanaka erano per forza di cose numerose. Il fatto che il risultato abbia fallito su quasi tutti i fronti, di conseguenza ha reso la delusione davvero cocente, influendo negativamente sul nostro giudizio finale.
Ora quello che si è presentato davanti ai nostri occhi è quello che definiremmo un incrocio pericoloso, dal quale l’opera prima di Tanaka ne è uscita, alla pari del suo autore, con le ossa rotte. In Bamy, il regista ha provato, senza riuscirci, a mescolare senza soluzione di continuità due modi diversi e opposti di interpretare il genere horror, creando suo e nostro malgrado un cortocircuito che ha generato un’implosione drammaturgica: con caratteristiche annesse, da una parte ha chiamato in causa il classico J-Horror, nello specifico quello portato sullo schermo dai connazionali Takashi Shimizu e Hideo Nakata attraverso lo shocker; dall’altra il più complicato horror di natura psicologica alla Kiyoshi Kurosawa, dove il male si annida nella quotidianità e nella mente dei personaggi.
Probabilmente, se invece di far convogliare in un’unica timeline più strade avesse scelto più saggiamente di percorrerne una sola delle due, ora parleremmo in altri termini. Ma ciò che conta alla fine è il risultato e questo presenta un passivo davvero alto, somma di una serie di clamorose distrazioni, di esperimenti non andati a buon fine e soprattutto di errori grossolani, dovuti principalmente all’inesperienza. A pesare di più sulle spalle del film un accumulo di sequenze pensate e messa in quadro con le medesime criticità. Criticità, queste, figlie di una scrittura e poi di una trasposizione deficitarie, tanto da far scaturire nel fruitore persino delle risate involontarie (vedi la prova abito da sposa nell’atelier oppure le apparizioni ectoplasmatiche nella tromba delle scale e nella lavatrice).
Se proprio vogliamo provare a salvare qualcosa, allora puntiamo sul coraggio di aver provato a dare vita sullo schermo a una commistione orrorifica, cosa che normalmente si tende ad evitare proprio per non complicarsi l’esistenza e non mettere a rischio l’operazione. Purtroppo, però, l’esperimento non ha dato i frutti sperati e ciò che rimane è un tentativo miseramente fallito, nonostante il nobile tentativo dell’autore di avvalersi dei codici del genere horror per parlare astrattamente di disfacimento dei legami affettivi e dei fantasmi del passato, del presente e del futuro.
A questo punto, non ci resta che rimanere alla finestra per vedere cosa ci proporrà in futuro Tanaka, cineasta a nostro avviso ancora acerbo ma che, ripassando con la mente le varie soluzioni visive proposte nel corso del film (vedi l’epilogo letteralmente gigantesco), sembra dotato di un potenziale ancora inespresso. Staremo a vedere. Nel frattempo, si porta a casa una grave insufficienza in pagella.

Francesco Del Grosso

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