Dopo la guerra
Se in ambito cinematografico (e non solo) è stato più e più volte trattato il periodo della Seconda Guerra Mondiale, oltre al sempre doloroso tema dell’Olocausto, minore attenzione ha avuto il periodo immediatamente successivo alla guerra, nella Germania post-dittatura. Fatta eccezione, infatti, per il bellissimo Germania Anno Zero di Roberto Rossellini (1948), sono ben pochi i lungometraggi incentrati su tale periodo storico. E così, un lavoro come La conseguenza, firmato da James Kent e tratto dal romanzo “The Aftermath” di Rhidian Brook – il quale ha collaborato anche alla stesura della sceneggiatura – presenta sin dall’inizio spunti assai interessanti.
E così, vediamo un cast stellare – formato da Keira Knightley, Jason Clarke e Alexander Skarsgård – prendere parte a questa grande coproduzione tra Stati Uniti, Gran Bretagna e Germania, al fine di mettere in scena le vicende di Rachael, la quale, nel 1945, raggiunge, dopo un periodo di forzata lontananza, suo marito Lewis (colonnello britannico incaricato di ricostruire Amburgo dopo i bombardamenti), insieme al quale dovrà dividere la casa con Stefan Lubert e sua figlia adolescente Freeda, ex proprietari dell’abitazione. Sin dal suo arrivo, Rachel mostrerà a Stefan una sorda ostilità.
Il resto, lo si può facilmente intuire. Se, infatti, questo lavoro di James Kent ha dalla sua l’idea di trattare una situazione quasi del tutto nuova, contemporaneamente viene fortemente penalizzato da uno script altamente prevedibile e pericolosamente privo di mordente, dove anche preannunciati momenti di alta tensione finiscono ben presto per sgonfiarsi come palloncini. Che, dunque, dall’iniziale ostilità di Rachael nei confronti di Stefan nascerà, in un futuro prossimo, qualcosa di tenero, lo si può già intuire nel momento in cui l’uomo tenta di porgerle la mano al momento delle rispettive presentazioni. Da questo momento in avanti, al fine di arrivare al tanto agognato congiungimento tra i due amanti, verrà attuata ogni possibile forzatura: dalla repentina trasformazione del povero Lewis da marito perfetto a persona cinica e insensibile, fino all’inaspettato cambio di avviso da parte di Freeda, riguardo la stessa Rachael. Il tutto, di fatto, accentuato da una regia eccessivamente enfatica e didascalica, con tanto di macchina da presa che indugia eccessivamente sulla mano di Stefan poggiata sulla schiena di Rachael o che ci mostra, letteralmente compiaciuta, un affascinante Stefan – con tanto di occhiali da intellettuale – intento a progettare edifici. Sempre, ovviamente, con un commento musicale che, in alcuni momenti, tanto ci fa pensare a una vera e propria telenovela.
Tutto preso dal voler raccontare la travagliata storia d’amore, il regista ha dimenticato persino di approfondire il discorso politico (con tanto di relativi interrogativi morali) inizialmente aperto, ma quasi del tutto abbandonato a sé stesso. Eppure, di fatto, esso stava a rappresentare proprio l’elemento di maggiore interesse dell’intero prodotto.
È solo a questo punto che ci torna alla mente il film a cui inizialmente abbiamo fatto riferimento in apertura dell’articolo, ossia Germania Anno Zero di Rossellini. Ecco, i due prodotti, a parte il medesimo periodo storico trattato, non hanno proprio più nulla in comune. Uno dei due verrà ricordato per sempre, l’altro, purtroppo per tutte le maestranze che vi hanno preso parte, no.
Marina Pavido