Un microcosmo di malvagità
Arriva nelle sale italiane il film spagnolo trionfatore agli ultimi Premi Goya, La casa dei libri (La librería) diretto da Isabel Coixet, già regista di Lezioni d’amore. Si tratta di un adattamento del romanzo “The Bookshop”, pubblicato da Penelope Fitzgerald nel 1978.
Nel 1959, ad Hardborough, la vedova di guerra Florence Green decide di trasformare la sua passione per la lettura in una professione e, di conseguenza, di aprire una libreria nel piccolo paese situato sul mare. Il suo progetto è, però, osteggiato dall’influente Mrs. Gamart, che nel luogo in cui Florence inizia la sua attività, ossia l’Old House, vorrebbe invece dare vita a un velleitario centro d’arte. Non esiterà a sfruttare tutte le sue conoscenze e risorse per mettere alle strette la vedova, aiutata solamente da Mr. Brundish, un anziano e disilluso possessore di terreni della zona, e da Christine, la bambina che le fa da assistente.
Era da tempo che non si vedeva al cinema un film così intimamente crudele e spietato che fosse, al tempo stesso, girato con una particolare grazia ed eleganza. La Coixet, portando sullo schermo la storia della Fitzgerald, descrive e racconta un ambiente malsano, un villaggio dominato apparentemente da un clima di cortesia che pian piano si rivela falso ed ingannevole, pronto a divorare ed espellere chi è più debole ma non si piega ai soprusi che gli vengono perpetrati.
La struttura filmica de La casa dei libri è molto tradizionale. Veniamo accompagnati dentro la vicenda da una voce narrante di cui scopriremo l’identità solo nel finale. Florence, la protagonista, interpretata da Emily Mortimer, è una donna fragile, segnata dalla scomparsa del marito e, tutto sommato, in particolar modo nella prima parte del film, ingenua. Nonostante tutto, è dotata di grande coraggio e caparbietà, doti che le saranno d’aiuto quando si ritroverà ad affrontare la perfida Mrs. Gamart e la sua compagnia di amici e sottoposti, seppur, a conti fatti, non sufficienti. L’altro, grande, protagonista de La casa dei libri è Mr. Brundish, un sontuoso Bill Nighy, che al paese credono vedovo, mentre è in realtà è solo separato, e che non esce mai dalla propria abitazione, passando le giornate a leggere e a bruciare le copertine dei libri che riportano una foto dell’autore, irato per il fatto che dei capolavori possano essere stati scritti da appartenenti al genere umano. Genere che, senza adoperare mezzi termini, odia.
L’elemento del fuoco accompagna l’intera durata del film. Mr. Brundish, colui che, come detto, accende quotidianamente dei falò di carta nel suo focolare, rimarrà rapito dalla lettura di “Fahrenheit 451”, di Ray Bradbury, romanzo distopico appena uscito, in cui, non a caso, i libri vengono dati alle fiamme. A inviarglielo via posta sarà proprio Florence, la quale spezzerà la riservatezza di Mr. Brundish, conquistandone la simpatia e l’affetto, nonché la solidarietà nella resistenza ai piani di Ms. Gamart. Alla fine, quando tutto sarà perduto e pure il suo amico sarà morto, stroncato da un malore, Florence guarderà sgomenta la sua libreria bruciare in lontananza, mentre è sulla nave che la porta via da quell’inferno in terra che è diventata Hardborough per lei. Ad appiccare l’incendio alla Old House sarà proprio la giovanissima Christine, in quello che probabilmente è da interpretare come un gesto di solidarietà verso la vedova (l’incendio impedirà, o quantomeno ritarderà, il progetto del centro d’arte della Gamart), ma che trasmette ugualmente una sensazione di dolore d’angoscia.
Tra la rievocazione di celebri pubblicazioni dell’epoca (oltre al libro di Bradbury, spicca “Lolita” di Nabokov) e le ottime prove dei suoi attori, La casa dei libri ci presenta un microcosmo malvagio in cui i più forti schiacciano gli indifesi, in cui il dolore di una persona, rappresentato dalla Coixet attraverso alcuni flashback e qualche scena sfocata, non ha rilevanza né viene rispettato. Una realtà in cui i libri, vengono dati, letteralmente e non, alle fiamme, anche se colei che sarà responsabile dell’incendio conclusivo, Christine, sarà anche l’unica a conservare un ricordo tenero ed affettuoso di Florence, diventando, tra l’altro, anch’essa libraia. Lei, che prima di conoscere Mrs. Green, aveva affermato di avere a noia la lettura, preferendo ad essa lo studio della geografia e della matematica.
L’unica nota stonata, in quello che resta un buon lavoro, è data da un epilogo affrettato (in cui, tra l’altro, fa capolino il volume della Fitzgerald, sopra ad uno scaffale), che mal si relaziona con l’attenzione e la cura per i dettagli dimostrate in precedenza dalla Coixet (si pensi solamente al particolare di Mrs. Gamart che si stringe rabbiosamente la veste dopo l’intenso colloquio con Mr. Brundish). La casa dei libri, in ogni caso, si chiude con l’unica certezza con cui era cominciato: in una libreria ci si sente sempre a casa. Anche se là fuori regnano la cattiveria e il cinismo.
Marco Michielis