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Kursk

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VOTO: 5.5

I bambini ci guardano

Se in parecchi hanno apprezzato il Thomas Vinterberg di Dogma ’95 in seguito alla visione di Festen (1998), è anche vero che in molti si sono sentiti quasi “orfani” di un autore di rottura come lui, nel momento in cui, abbandonando il movimento cinematografico iniziato in Danimarca al fianco di Lars von Trier, il regista si è adattato ai canoni hollywoodiani girando nel 2002 Le forze del Destino. Eppure, soprattutto per quanto riguarda la prima parte della sua carriera, l’autore ha sempre dimostrato di sapere il fatto suo per quanto riguarda la conoscenza del mezzo cinematografico, realizzando prodotti qualitativamente notevoli. Questo, almeno, fino al 2013, anno in cui il celebre cineasta di Copenaghen ha dato vita all’interessante Il sospetto. In seguito a ciò, improvvisamente (e inspiegabilmente) il suo modo di fare cinema ha preso tutta un’altra piega, cedendo alla più banale retorica e a una sorta di pretenziosa autorialità per nulla in linea con ciò che veniva messo in scena. È stato così per Via dalla pazza folla (2015), così come per La Comune (2016).
In seguito a ciò, sono stati in molti, dunque, a sperare in una sua “risalita”, nel momento in cui il regista ha presentato in anteprima alla tredicesima edizione della Festa del Cinema di Roma – all’interno della Selezione Ufficiale – Kursk, il suo ultimo lavoro, in cui viene messa in scena la recente tragedia che il 10 agosto del 2000 ha visto, a causa di una forte esplosione, la morte di ben 118 marinai a bordo del sottomarino a propulsione nucleare K-141 Kursk, di proprietà della Marina Militare Russa.
Un lavoro, questo di Vinterberg, in cui al fatto di cronaca si unisce il dramma umano, mostrandoci, al contempo, la situazione delle famiglie dei marinai in attesa di notizie riguardanti i loro cari. Il tutto, narrato dall’ottica dei bambini rimasti orfani. E l’operazione in sé è anche potenzialmente interessante, soprattutto se si tiene conto del fatto che il regista, avendo scelto un cast dal respiro internazionale all’interno del quale spiccano i nomi di Matthias Schoenaerts, Léa Seydoux e Max von Sydow (ognuno di loro proveniente da una nazione differente), è riuscito a creare tramite la lingua inglese (nessun accento a disturbare lo spettatore) un forte collante tra i singoli personaggi e accentuando il tutto con un copioso uso di camera a spalla (probabilmente l’unico elemento rimasto che sta a ricordarci il periodo di Dogma) e frequenti piani sequenza, scelti in particolare per quanto riguarda i momenti ambientati all’interno del sottomarino.
Eppure, malgrado una tale cura, vi sono, purtroppo, non pochi elementi che in un lavoro come Kursk proprio non convincono. Uno di essi è la pericolosa retorica in cui si rischia di scadere quando si decide di mettere in scena un tema del genere (con tanto di colonna sonora invasiva e a tratti disturbante) e con cui, appunto, Thomas Vinterberg si è scontrato in pieno. Se poi al tutto aggiungiamo anche momenti a tratti stucchevoli in cui assistiamo agli ultimi momenti di vita di uno dei personaggi e alle visioni di lui con un bambino che nuota sott’acqua, ecco che il tutto finisce inevitabilmente per calare di qualità, facendo sì che l’intero lavoro si classifichi come un prodotto mediocre, in cui anche la forte critica mossa nei confronti del governo russo, fatta eccezione per il momento finale in cui sono gli stessi bambini, a loro modo, a reagire, non viene approfondita come avrebbe meritato.
E anche questa volta, dunque, Vinterberg ci ha lasciato (in parte) con l’amaro in bocca e con tanta, tanta nostalgia. I gloriosi tempi di Festen e di Dogma, sembrano, ora come ora, ormai lontani anni luce.

Marina Pavido

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