Home Festival Roma 2018 Donbass. Borderland

Donbass. Borderland

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VOTO: 8

Vivere e morire nei sobborghi di Donetsk

Vi è un dato di fondo alquanto sconcertante, sul quale vorremmo soffermarci un attimo: di questo appassionante lungometraggio, per scarsa lungimiranza o per altre ragioni che al momento ci sfuggono, i poco accorti (almeno in questo caso) programmatori della tredicesima edizione della Festa del Cinema di Roma hanno previsto un’unica proiezione, il 23 ottobre ore 17.30 in Sala Petrassi. Senza inserire alcuna replica, con una serie di film o appuntamenti cinematografici di indubbio interesse programmati contemporaneamente in altri spazi dell’Auditorium. Il risultato è che quel giorno non eravamo tantissimi in Petrassi a vedere Donbass. Borderland del russo Renat Davletyarov, che si è poi fermato a rispondere con notevole arguzia e sensibilità alle domande dei presenti. Domande che non hanno tardato ad arrivare, visto che il suo film è di quelli destinati a suscitare molteplici discussioni e non pochi interrogativi. Quando il pubblico è così ridotto, si usa dire: pochi ma buoni. Pochi e fortemente motivati, aggiungiamo noi, perché una simile opera cinematografica la si va a vedere, in un quadro di appuntamenti festivalieri arzigogolato come quello testé descritto, solo se di base vi è un grande interesse. Nel nostro caso ad esempio la delicata questione ucraina è oggetto di particolari attenzioni da anni. A dimostrarlo ulteriormente il fatto che, poche settimane prima, eravamo andati all’incontro di Monterotondo (Libreria Misopogon) col giovane giornalista italiano Alberto Fazolo, uno che presso le repubbliche separatiste dell’Ucraina Orientale ha sostato a lungo, per poi raccontarne le così peculiari dinamiche politiche e sociali nel libro, da noi straconsigliato, di cui è co-autore: In Donbass non si passa. Ebbene, nell’opera di finzione del russo Renat Davletyarov abbiamo ritrovato un’analoga volontà di far filtrare gli aspetti più spigolosi e veritieri di quel sanguinoso conflitto, ben al di là delle visioni propagandistiche, fatalmente inclini ad osannare le discutibilissime scelte del governo golpista installatosi a Kiev, che i media occidentali servilmente ripropongono a getto continuo.

Così dicendo abbiamo già focalizzato, in parte, la questione: ci risulta infatti che Donbass. Borderland sia il primo esempio significativo di cinema di finzione realizzato, in Russia, sulla spinosa faccenda dei separatisti e della guerra fratricida in Ucraina. Avevamo già visto diverse opere documentarie e anche di finzione concepite sull’altro fronte, quasi tutte inneggianti alla liceità di quanto avvenuto a Maidan e foriere, con accenti fastidiosamente retorici, di una ostilità pregiudiziale nei confronti dei rivoltosi di Donetsk e Lugansk. Una strisciante, odiosa russofobia pare essere il collante di tali visioni. E anche qualche maestro del cinema a noi caro, purtroppo, non è riuscito a rendersi immune da questa deprecabile caccia alle streghe, vedi ad esempio lo Sharunas Bartas del deludente, verbosissimo (ed in ciò così distante dalla sua precedente filmografia) Frost.
Donbass. Borderland era proprio il film che ci voleva, per riportare un salutare equilibrio, anche perché ai sofismi ideologici e alle derive da “sinistra arcobaleno” che alcuni hanno tradotto in immagini, nelle opere cui accennavamo prima, si sostituisce nell’ottica proposta da Renat Davletyarov un vero e proprio dramma bellico, ricco di sfumature, capace nei suoi momenti migliori di parafrasare degnamente gli stilemi del noir e del western. Il racconto è ambientato nell’agosto del 2014 presso i sobborghi di Donetsk, investiti proprio in quei giorni da tutta la crudezza del conflitto, che stava già causando innumerevoli vittime e colonne di profughi costretti a riparare in altre zone del paese o direttamente in Russia. Andrey Sokolov, giovane soldato ucraino non ideologicizzato ed in missione come autista a due passi dal fronte, per ripararsi dalle granate che hanno ucciso un suo compagno è costretto a rifugiarsi nel seminterrato di un condominio, dove può così entrare in contatto con persone di diversa estrazione sociale, ognuno con la propria storia alle spalle e con una diversa posizione riguardo alla guerra. Posizioni spesso contrapposte e apparentemente inconciliabili. Ma tutti arriveranno a condividere lo stesso sogno: la speranza che quello scontro fratricida finisca al più presto.
La messa in scena di Donbass. Borderland (parzialmente girato in Crimea) è sempre credibile, ed il ritmo tambureggiante, pur essendo teso a salvaguardare gli opportuni spazi di riflessione. Ma è soprattutto un’ottima sceneggiatura a guidare l’azione, attraverso la caratterizzazione di personaggi estremamente vividi, concreti, in grado peraltro di porre in discussione le proprie idee e prospettive, in base alla realtà che si para loro davanti. Una realtà dalla consistenza materica assai accentuata, ove spiccano esplosioni e macerie. Con una certa trasparenza Renat Davletyarov fa poi in modo che le ragioni dei russofoni, comprensibilissime, vengano espresse con chiarezza negli accesi confronti verbali tra i protagonisti. Ma è altrettanto onesto, nonché umano, allorché i personaggi fedeli al governo di Kiev non vengono dipinti come nemici, bensì come fratelli slavi separati da una svolta politica assurda; ad eccezione ovviamente di quei criminali di guerra “banderisti” sulle cui azioni, totalmente prive di etica e di pietà, il regista non può certo chiudere un occhio. Come invece ha fatto in tutti questi anni l’Occidente colluso.

Stefano Coccia

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