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Mia e il leone bianco

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VOTO: 6

In fuga con Charlie

Il sottogenere “ragazzini e animali” è vecchio quasi quanto il cinema. Con tanta voglia di sentimentalismo anche a buon mercato, da Lassie in avanti. Pure Mia e il leone bianco del francese Gilles de Maistre si adagia su binari già abbondantemente tracciati nel passato, così da giocare sul sicuro senza prendersi alcun rischio. Gli ingredienti narrativi stavolta prevedono un’adolescente un po’ ribelle trapiantata per esigenze famigliari nel bel mezzo della natura sudafricana provare una profonda nostalgia per la vita londinese appena abbandonata. Circondata la fattoria di papà e mamma da animali di ogni specie in stato di quasi cattività, un giorno di Natale arriva uno splendido cucciolo di leone bianco ad allietare, si fa per dire, le lunghe e noiose (?) giornate della protagonista Mia. Non proprio un amore a prima vista, ma deflagrante in tutta la sua potenza a medio termine. Se non che i cuccioli hanno il piccolo difetto di crescere rapidamente, perciò papà vieta a Mia contatti troppo stretti con il felino, nel comprensibile timore possa accaderle qualcosa, tipo essere sbranata. Ma Charlie è un leone sui generis, bravo solo a farsi amare; così, quando la fanciulla scopre che alcuni esemplari vengono venduti a peso d’oro a viscidi intermediari che ne decretano la morte a beneficio di sordidi turisti in cerca di facili trofei da esibire, si dà alla fuga con Charlie per ridargli la libertà in territori protetti. Riuscirà nell’intento?
Non è ovviamente la suspense il punto forte di Mia e il leone bianco, film di finzione a tutto tondo ben lontano dalle ambizioni semi-documentaristiche del venerando Nata libera (1966) di James Hill, tanto per restare in tema “leonino”. Qui abbiamo un prodotto saldamente addomesticato come il protagonista quadrupede, capace di distanziare in bravura il resto del poco noto cast, a parte la tarantiniana Mélanie Laurent di Bastardi senza gloria (2009). Un lungometraggio dunque dall’imprinting prettamente famigliare, apprezzabile per il messaggio ecologista – le scritte sui titoli di coda ci avvertono che tra una ventina d’anni il leone allo stato brado rischia l’estinzione a causa della caccia di frodo di cui è vittima – ma purtroppo assai scontato nella (non) evoluzione narrativa. Alla fine, presentando un contesto naturale sin troppo idilliaco dove Charlie, alla sua prima uscita un libertà, si pappa un povero struzzo risparmiando la pelle al solito cattivone umano di prammatica, ci si sente un po’ presi in giro, anche perché non è barando che si educa un pubblico infantile – target commerciale del film sono i genitori con prole – alle cosiddette asperità della vita. Bocciato dunque il messaggio pedagogico resta in piedi un tradizionale film di buoni sentimenti conditi con spruzzate di telefonata avventura. Poco per generare entusiasmi cinefili, tuttavia abbastanza per non rimpiangere i soldi del biglietto: la tenerezza del Charlie cucciolo prima e la maestosità dello stesso una volta divenuto adulto, abbinata agli splendidi paesaggi naturali sudafricani, salvano in parte l’operazione da un fallimento piuttosto sonoro. Sempre a patto che mamma e/o papà riescano a spiegare ai loro figli che, nella realtà, Madre Natura non è esattamente così magnanima come mostrato in Mia e il leone bianco. Impresa, quest’ultima, che appare decisamente più complessa della traversata intrapresa dalla ragazzina nell’intento di restituire a Charlie ciò che di Charlie sarebbe diritto intangibile: condurre cioè un’esistenza da animale libero. Quello stesso diritto che magari ancora si rifiuta, nell’appena sbocciato 2019, pure a parecchi esseri umani in differenti luoghi del globo.

Daniele De Angelis

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