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Titixe

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VOTO: 7

L’ultima semina

Un elegiaco, finanche doloroso addio alla terra. Quello realizzato in Messico da Tania Hernández Velasco è una sorta di documentario “in soggettiva”, che prende spunto dalla propria esperienza famigliare per evocare condizioni di vita ancestrali, ataviche, colte sull’orlo di un forzato oblio. Lo spunto è dato infatti dalla morte di un nonno molto caro, ultimo parente rimasto a coltivare la terra, all’interno di una famiglia che con essa aveva avuto un rapporto duraturo ma che oggi come oggi risulta quasi totalmente inurbata. La nonna, sfiduciata, a quel punto vorrebbe sbrigarsi a vendere il terreno. Ma figlia e nipote, pur essendo poco avvezze ai ritmi della campagna, sono riuscite per un po’ a convincerla della possibilità di rimboccarsi le maniche e prendersi cura loro di quel campo, con l’aiuto delle persone di fiducia presenti in zona, così da avere un ultimo raccolto e valutare poi se andare avanti o meno. Soltanto che la concorrenza dell’agricoltura moderna, meccanizzata, spesso gestita da multinazionali, ne lascia ben poco di spazio ai piccoli proprietari, i cui guadagni risultano praticamente azzerati da una condizione di forte svantaggio. Nei paesi dell’America Centrale come anche altrove. E così un intero ciclo vitale sembra avviarsi mestamente alla conclusione, visto che all’epoca di certe conquiste sociali comprendenti anche la divisione dei grossi latifondi la famiglia della regista, in cui precedentemente si era lavorato da semplici braccianti e fittavoli, era stata tra le prime ad ottenere un po’ di terra da coltivare. Ma ora, a distanza di poche generazioni, sempre più remota appare la possibilità di continuare ad usufruire di tale conquista. L’addio a quel “piccolo mondo antico” si profila insomma all’orizzonte.

Presentato alla tredicesima edizione della Festa del Cinema di Roma, Titixe non riesce a sviluppare tutte le potenzialità del soggetto, cui avrebbe giovato forse un minutaggio maggiore, ma in quel suo andamento rapsodico e contemplativo ha comunque buon gioco nell’abbozzare un interessante discorso sociale, a ridosso di un lirismo delle immagini che resta in ogni caso la sua qualità più evidente. Decisamente evocativo il vocabolo scelto come titolo, titixe, che nell’idioma locale vuol dire più o meno “spigolare”. E nel piazzare la videocamera di fronte ai cicli imperturbabili della Natura sembra quasi che la regista sia proprio questo, una “spigolatrice” dell’audiovisivo, mossa da profonde motivazioni personali a vagare per quei campi alla ricerca di residui da affastellare, da mettere accuratamente da parte, quale meditabonda testimonianza di un mondo rurale al tramonto. La qualità di fagioli scelta per l’ultimo raccolto. Un albero ormai malandato, che sembra custodire lo spirito laborioso e combattivo del nonno scomparso da poco. Le piogge. Gli insetti. Quei momenti magici della giornata, in cui le luci creano sul terreno armoniche composizioni. Tutto questo concorre a formare una specie di quadro impressionista, i cui contorni malinconici e sfuggenti riescono a farci intuire, almeno in parte, l’intima bellezza di quel microcosmo destinato probabilmente a svanire.

Stefano Coccia

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