Scene dal panel sull’ascesa del documentario nel New Irish Cinema
Alcune assenze dovute ad imprevisti di viaggio, su tutte quella dell’attesissimo Brendan J. Byrne di Hear My Voice, rischiavano di togliere mordente ad ISLE OF DOCS: l’ascesa del documentario nel New Irish Cinema, il panel ideato per sondare assieme agli autori l’eccellente stato di salute del documentario in Irlanda. Per fortuna non è stato così. I cineasti irlandesi presenti, stimolati dai quesiti posti loro dalla Direttrice Artistica del festival Susanna Pellis e dal pubblico stesso, hanno offerto un ritratto sintetico ma vivace di quanto viene realizzato in questi anni nell’isola. Del resto avevamo di fronte due ospiti estremamente qualificati: il regista irlandese Frank Berry, di cui avremmo poi apprezzato in serata Michael Inside con Moe Dunford; ed il nordirlandese Seán Murray, autore di uno dei documentari più belli di questa dodicesima edizione dell’Irish Film Festa, ovvero Unquiet Graves. A quel punto, accreditandomi quale inviato di CineClandestino, ho voluto porre ai due film-makers una domanda che ampliasse ulteriormente gli orizzonti del discorso.
D: Di recente, al Trieste Film Festival, ho avuto modo di incontrare una giovane ed affermata produttrice cinematografica, la croata Tina Hajon, che con la sua società ha contribuito alla realizzazione del documentario I leoni di Lissa, diretto da Nicolò Bongiorno. È stata lei a raccontarmi che in Croazia si sta creando una cultura del documentario, che ci sono diversi festival a tema e soprattutto che sta crescendo l’interesse per le coproduzioni internazionali. Come nel caso che ho citato poc’anzi. La mia domanda, fomentata anche dall’aver visto qui al festival documentari irlandesi molto belli, potenti, ma anche legati in modo stretto alla realtà dell’isola, è pertanto questa: vi è da voi un analogo interesse per la ricerca di co-produzioni all’estero ed, eventualmente, di storie che riguardino altri scenari, non necessariamente irlandesi ma di altri paesi europei o addirittura più “esotici”?
Frank Berry: Grazie per la domanda. È molto interessante, assolutamente, perché tra l’altro questo è il modello di finanziamento più sviluppato da noi, abbiamo tantissime co-produzioni, sia per documentari che per film di finzione, ma non soltanto con paesi europei, anche con quelli al di là dell’Atlantico. Con il Canada, per esempio. Come avevo accennato in precedenza, Screen Ireland è senz’altro un interlocutore privilegiato in questo senso, ma in più abbiamo già messo a punto un modello ben collaudato di co-produzione, laddove i due paesi contribuiscono con una determinata cifra, ben quantificata; e poi, nell’atto di realizzazione del documentario o comunque del film, anche le riprese vengono effettuate parte in un paese e parte nell’altro. Quindi tutto ciò in Irlanda rappresenta già una realtà e, come abbiamo potuto vedere, anche molto ben strutturata. Difatti, devo dire che quel che si realizza da noi viene spesso prodotto proprio in questa maniera: è molto più frequente avere una co-produzione, rispetto a film finanziati e poi girati unicamente a livello nazionale.
Seán Murray: Beh, sì, la questione interessa anche me! Diciamo che è qualcosa che esiste anche da noi, sebbene in Irlanda del Nord sia forse un pochino meno comune e meno utilizzato rispetto alla Repubblica d’Irlanda. Comunque domani torno a casa e domenica prenderò un altro volo per l’Inghilterra, dove vado ad avviare un nuovo progetto, un documentario sulla vicenda dello scienziato britannico David Kelly, un esperto di armi morto in circostanze poco chiare dopo essere stato ispettore dell’ONU in Irak. Tanti misteri, per cui c’è anche un bel lavoro di ricerca da fare. Adesso io comincio questo progetto, nel frattempo ci sarà la Brexit, chissà cosa succederà? Magari nel frattempo l’Irlanda si riunifica e noi ci ritroviamo da un’altra parte (risate in sala, N.d.R.). Perciò diciamo semplicemente che parto, ma ho di fronte a me un po’ di incognite.
Stefano Coccia