Non un colpo di fulmine
È sulle note di “Ho visto un re” di Cochi e Renato che si apre Io sono Tempesta, l’ultimo lungometraggio di Daniele Luchetti dove – di fianco all’ormai abusatissimo tema della crisi economica dei giorni nostri – viene ritratto per noi un tipico truffatore contemporaneo, tutto dedito alle donne e alla bella vita, che ha sempre trovato un modo per far soldi. E così, questo tentativo di Luchetti di raccontarci la società odierna, ci vuol mostrare l’altro lato della medaglia, ossia chi, a differenza della maggior parte della gente, è riuscito a farcela. Spesso e volentieri anche aggirando la legge.
È la storia, questa, di Numa Tempesta, simpatico multimilionario che vive in un albergo di lusso (ovviamente di sua proprietà), il quale, però, dopo essere stato scoperto durante una truffa, al fine di evitare il carcere è costretto a fare volontariato in una comunità che si occupa di senzatetto. In seguito all’incontro con un ragazzo-padre rimasto senza casa e senza lavoro e con il figlioletto di quest’ultimo, il nostro protagonista avrà finalmente modo di conoscere meglio sé stesso e di rendersi conto di quanto siano importanti gli affetti nella vita di ognuno di noi.
Se, dunque, in seguito a una prima, sommaria lettura della sinossi si può anche immaginare un lungometraggio dai toni smaccatamente lacrimevoli e buonisti, questo ultimo lavoro di Luchetti fin dai primi minuti non fa che rivelarsi – perfettamente in linea con tutta la precedente filmografia del regista, d’altronde – perlopiù spassoso, spesso irriverente e, soprattutto, senza la pretesa di voler dare a tutti i costi delle risposte riguardo i più importanti interrogativi della vita. Fin qui tutto bene, peccato solo che Io sono Tempesta finisca ben presto per parlarsi addosso, per perdere di mordente e per risultare pericolosamente banale e prevedibile, senza quel necessario tono graffiante che ben si sposa con lungometraggi del genere.
Certamente meno riuscito rispetto ai primi film del celebre cineasta, dunque, il presente lavoro si distingue, tuttavia, per un’imponente uso di virtuosismi registici, conditi anche da qualche citazione qua e là. Con una musica a tratti (volutamente) pomposa e una serie di carrellate che tanto stanno a ricordarci una regia tipica di cineasti come Joe Wright, senza contare il giusto sfruttamento degli spazi in un ambiente come quello del lussuoso albergo in cui vive Numa Tempesta e all’interno dei quali lo stesso Luchetti si è divertito a citare scherzosamente Kubrick e il suo Shining, il presente lungometraggio risulta particolarmente curato nella forma (merito anche della fotografia di Luca Bigazzi), oltre che ottimamente interpretato (Marco Giallini, qui nel ruolo del protagonista, non delude mai).
Malgrado, dunque, una riuscita finale che lascia un po’ a desiderare, questo ultimo prodotto di Luchetti tutto sommato riesce – senza picchi e senza particolari guizzi narrativi – a intrattenere il pubblico per una buona ora e mezza. Il punto, però, è questo: per quanto, dopo la visione, ci si ricorderà ancora di un film come Io sono Tempesta? Solo il tempo potrà dircelo.
Marina Pavido