Conversando con il cineasta tedesco di culto, ospite a Roma del Fantafestival
Proiettato in seconda serata, durante l‘ultima giornata della kermesse capitolina, Laurin di Robert Sigl ha rappresentato la chicca conclusiva di una trentanovesima edizione del Fantafestival, impreziosita anche da simili appuntamenti cinefili. Un cult movie di fine anni ’80 ancora oggi in grado di lasciare molteplici suggestioni nel pubblico. Noi di CineClandestino ci siamo fatti volentieri carico della curiosità generale, andando a stuzzicare al termine della proiezione il regista tedesco che, amabile e professionale, ha risposto generosamente ai nostri primi quesiti. Tanto disponibile si è dimostrato, anche dopo, da accettare di approfondire con noi sia le tematiche più rilevanti di Laurin che altri aspetti inerenti alla sua carriera. Ne è uscita fuori l’intervista – concessa IN ESCLUSIVA alla nostra rivista – che siamo ora orgogliosi di presentarvi.
D: Prima di tutto, da dove viene la tua passione per l’arte cinematografica? C‘è un film in particolare o una serie di film che può aver acceso la scintilla?
Robert Sigl: Avevo sette anni quando mi fermai fuori da un cinema che aveva in programmazione Dance of the Vampires (Per favore, non mordermi sul collo!) di Roman Polanski. Ero totalmente ipnotizzato dal manifesto del film e dalle locandine più piccole che mostravano la bellezza e il vestito rosso di Sharon Tate, affascinato anche dai costumi barocchi dei vampiri che si radunavano fuori dal castello nella neve, tant’è che ne fui subito preso. Sapevo di voler diventare qualcuno che fosse in grado di realizzare immagini da favola, come aveva saputo fare questo regista dal nome magico “Roman Polanski”.
D: Ci sono registi, attori o altri artisti che hanno contribuito al formarsi del tuo punto di vista sul cinema, che hanno modellato la tua estetica visiva e le modalità narrative da te adottate?
Robert Sigl: Certo. David Lynch, Alfred Hitchcock, Roman Polanski, Nicolas Roeg, Ingmar Bergman, Luchino Visconti, parlando di registi. Edvard Munch, Gustav Klimt, Marc Chagall, Franz von Stuck, Rembrandt van Rijn, Michelangelo Merisi da Caravaggio, tra i pittori. Mentre sono György Ligeti, Wendy Carlos, Béla Bartók, Krzysztof Penderecki, Howard Shore, Bernard Herrman e Angelo Badalamenti i compositori che sento più vicini.
D: La fotografia, l’ambientazione e l’atmosfera di Laurin ricordano molto i vecchi film della Hammer. Sei pure tu un ammiratore di quel cinema? Ed è per questo che hai deciso di girare nel 1988 un film, il cui fascino è rappresentato anche da quell’impronta così old-style?
Robert Sigl: Sì, adoro i vecchi film della Hammer. La loro atmosfera, la loro eleganza, i colori e le scenografie. Con Laurin ho voluto creare un film in costume dall’estetica fiabesca che combinasse sia l’orrore che la bellezza. Fanny e Alexander, Whoever Slew Auntie Roo (Chi giace nella culla della zia Ruth?) di Curtis Harrington e i capolavori in bianco e nero The Innocents (Suspense) di Jack Clayton e The Night of the Hunter (La morte corre sul fiume) di Charles Laughton avevano lasciato poi in me un’impressione profonda. È stato solo dopo aver girato Laurin che ho potuto finalmente vedere i bellissimi film di Mario Bava, Operazione paura e La maschera del demonio. Suppongo che il signor Bava ed io condividiamo lo stesso gusto per le immagini e per il set, viste le somiglianze con Laurin.
D: La linea narrativa di Laurin ha qualcosa di surreale, onirico, che richiama il meccanismo delle fiabe anche nella ripetizione di alcune situazioni. Si può quindi dire che il taglio scelto per la narrazione corrisponda a quello di una fiaba gotica, oscura e crudele?
Robert Sigl: Esattamente. Questo è il motivo per cui sono rimasto sbalordito nel vedere certe reazioni nel pubblico. Alcuni spettatori e persino i critici sembravano “affondare” in una struttura narrativa ricca di associazioni e talvolta (stando alla vostra definizione) ripetitiva, al punto di non riuscire più a seguire la storia. Non credo che la narrazione sia troppo surreale. Per esempio rispetto al film di Nicolas Roeg, Don’t Look Now (A Venezia… un dicembre rosso shocking, 1973), si possono facilmente distinguere la realtà e le allucinazioni.
D: Quali scelte sono state fatte lavorando alla colonna sonora del film?
Robert Sigl: Sono consapevole che ci sono molti fan del film che adorano la colonna sonora. Beh, io no. Mi piacciono molto le melodie e i temi, ma la sonorità elettronica appartiene al versante economico ed è l’unico elemento che tradisce l’età effettiva del film. Semplicemente non c’erano soldi per un suono orchestrale tecnicamente più elaborato e mi dispiace ancora parecchio.
D: Sappiamo che dopo Laurin hai girato altri film e sei stato responsabile di mini serie di successo per produzioni polacche, tedesche e canadesi. Puoi dirci qualcosa su queste esperienze? Quali sono le differenze, se ce ne sono, tra il modo tedesco di affrontare la realizzazione di un film e gli altri approcci da te incontrati? Quali sono poi le principali differenze tra lavorare per la TV e lavorare per il cinema?
Robert Sigl: Innanzitutto, dopo Laurin e il Bavarian Film Award sono stato fuori dal mercato e senza lavoro per sei anni. Fino a quando un produttore televisivo della ZDF ha guardato Laurin ed è rimasto positivamente impressionato dalla sua qualità artistica. Così ho diretto in Polonia una Mini Series per ZDF intitolata Stella Stellaris, che presentava di nuovo atmosfere ed immagini fiabeschche e – per quel periodo, era il 1994 – una quantità mai vista di CGI, tecnologia totalmente nuova per la televisione tedesca. Ciò che ne è venuto fuori e il suo successo mi hanno aiutato ad essere scelto come regista di uno dei quattro film pilota della serie internazionale Lexx-The Dark Zone per Showtime USA. È stato girato in Nuova Scozia e lì uno dei miei sogni mai confessati è divenuto realtà: ho potuto lavorare con uno dei miei idoli cinematografici, nientemeno che Malcolm McDowell. Forse ho fatto un grosso errore quando sono tornato in Germania, invece di restare e tentare la fortuna in Canada o negli Stati Uniti. Ad ogni modo, le reti private in Germania mi hanno permesso di girare tre film TV del mio genere preferito: School’s Out, il sequel School’s Out 2 (trasmesso anche in Italia con il titolo L’isola della vendetta su Rai 2) e infine Hepzibah aka: The Village che ho girato in Repubblica Ceca in inglese, con star britanniche come Eleanor Tomlinson e David Bamber.
Non vedo grandi differenze nel lavorare per il grande schermo o il piccolo schermo. Ogni volta che accetto un lavoro lo faccio con tutto il mio amore e l‘energia necessaria, senza fare distinzioni tra un prodotto cinematografico ed un un corto per uno show televisivo come Aktenzeichen XY … ungelöst.
Mi è piaciuto lavorare in altri paesi, in particolare in Canada e nella Repubblica Ceca. Loro hanno artisti fantastici laggiù e puoi ancora sentire la tradizione dell’arte cinematografica, qualcosa che è stato completamente distrutto e perso in Germania.
D: Ecco, proprio riguardo al cinema che si fa in Germania: è cambiato da quando hai girato Laurin? Cosa puoi dire di buono e cosa di negativo del moderno cinema tedesco?
Robert Sigl: Non ci sono molte cose buone da dire sul conto del cinema tedesco contemporaneo. Tutto è controllato politicamente e le Film Board non hanno alcuna intenzione di finanziare progetti che trovano insoliti, audaci, provocatori e – ai loro occhi – politicamente scorretti. In particolare odiano i film di genere, soprattutto l’horror. Avrei potuto realizzare qualche lavoro molto più interessante con la televisione tedesca dopo aver fatto Laurin. Ma fino ad oggi qualsiasi film commission tedesca si è rifiutata di stanziare i fondi di produzione per tutti e otto i miei progetti.
D: Pare che tu sia pieno di nuovi progetti in arrivo. Cosa puoi dirci sui prossimi lavori? Cosa possiamo aspettarci? Tornerai presto al genere horror / fantasy?
Robert Sigl: Questi otto progetti includono l’adattamento del mio romanzo fantasy “Wurdilak” che è stato pubblicato nei paesi di lingua tedesca e attende ora la pubblicazione in territori di lingua inglese. Potrei ottenere Malcolm McDowell e l’ex moglie di Prince, Mayte Garcia, nei ruoli principali. Per il mio thriller sulla reincarnazione The Mandylion (precedentemente: “The Spider”) posso contare ancora una volta sulla collaborazione del buon Malcolm e nientepopodimeno che il 3 volte Premio Oscar Howard Shore ha espresso interesse nel comporre per esso la colonna sonora. Uno dei miei progetti più importanti è The Pink Triangle Jew, soggetto che mi è molto caro già da qualche decennio. Riguarda il comandante di un campo di concentramento che cerca di celare la propria omosessualità ai nazisti e alla sua famiglia, per finire poi con l‘innamorarsi di un ragazzo ebreo gay di 17 anni che salverà dalla morte imminente e lascerà nascondersi nella soffitta della sua villa… con conseguenze disastrose. Finora i produttori tedeschi e austriaci hanno reagito con pura isteria e attacchi di panico ogni volta che ho presentato loro il progetto.
Ricevute queste sapide anticipazioni sui tanti lavori che il vulcanico cineasta tedesco tedesco sta simultaneamente portando avanti, non ci resta che ringraziarlo per la grande disponibilità con cui si è concesso a noi, fornendoci anche le preziose immagini che accompagnano l’intervista!
Michela Aloisi, Massimo Brigandì e Stefano Coccia