L’autore “rimosso”
In linea di massima quando un cosiddetto tecnico passa alla regia cinematografica è destinato ad un ruolo artigianale, da director per tutte le occasioni. Ebbene il londinese Nicolas Roeg è riuscito a sfuggire a questa regola non scritta, divenendo – dopo il passaggio dietro la macchina da presa, lui che era stato valentissimo direttore della fotografia di opere tipo Farhenheit 451 di Truffaut – un grande autore della Settima Arte. E, come tale, desta una certa impressione il silenzio assordante che ne ha accompagnato la scomparsa, alla veneranda età di novant’anni. Incomprensibile, ma sino ad un certo punto. Perché il Cinema di Roeg è sempre stato caratterizzato da una fortissima vena creativa molto personale, che lo conduceva a mettere in scena, soprattutto nei suoi titoli meno noti, il trip nella parte oscura dell’essere umano, con annesse paure e ossessioni assortite. Un modus operandi che lo conduceva alla realizzazione di opere tanto oggettivamente criptiche quanto dannatamente affascinanti, “colpevoli” del più grande peccato originale imperante nel cinema contemporaneo: la spinta alla decifrazione dell’immagine prima e alla riflessione su di essa in un secondo momento. Sarà per questo che il suo è stato, è e sarà per sempre un cinema soggetto alla rimozione culturale, poiché in grado di sfidare quella pigrizia che alligna persino negli addetti ai lavori, troppo spesso impegnati a discettare su capolavori conclamati allo scopo di non “sporcarsi” le mani nei fangosi percorsi di stili meno cristallini e perciò poco intellegibili ad un primo impatto.
Dal 1973 al 1980 Nicolas Roeg realizza il trittico delle sue opere più celebri. A partire dall’indimenticabile A Venezia… un dicembre rosso shocking (Don’t Look Now), assieme thriller, mystery, elaborazione del lutto con venature orrorifiche per un’opera di difficile – come tutte le altre, del resto – catalogazione. Nel 1976 è la volta del fantascientifico, socio-politico e lungimirante L’uomo che cadde sulla Terra (The Man Who Fell to Earth), ovvero il mondo visto attraverso gli occhi alieni dell’iconico David Bowie. Sconvolgente. Chiude il terzetto un altro thriller sui generis, Il lenzuolo viola (Bad Timing), quasi un decentrato omaggio ai romanzi di Raymond Chandler dove la realtà, nella finzione, sfugge a qualsiasi tentativo di comprensione. Quasi un paradigma della sua filosofia di cinema, insomma. Sul set de Il lenzuolo viola Roeg conosce la bellissima Theresa Russell, attrice che diventerà sua moglie e musa ispiratrice per molti dei suoi successivi progetti. Opere, appunto, come Eureka (1983), meravigliosa riflessione sul Potere con uno straordinario Gene Hackman; La signora in bianco (Insignificance, 1985), psichedelico trip nei meandri più reconditi della cultura statunitense, con apparizioni di Marilyn Monroe (ovviamente interpretata da Theresa Russell), Albert Einstein, Joe Di Maggio e via discorrendo, per un’opera in cui la costruzione di senso è affidata alla predisposizione dello spettatore. Anche Castaway – La ragazza venerdì (sottotitolo italiano da querela per il solo Castaway, 1985) ad un’apparente semplicità di trama fa corrispondere un sottile gioco psicoanalitico sulla natura maschile e quella femminile, mediante la storia di un uomo ed una donna auto-confinatisi in un isola deserta per volontà di lui, il grande Oliver Reed. Segue un altro titolo enormemente sottovalutato, il visionario Mille pezzi di un delirio (Track 29, 1988), ossessivo e immaginifico film che rappresenta un ulteriore passo di Roeg verso la messa in quadro della pura follia umana.
Ci piace chiudere questa parziale carrellata, omettendo un’ultima parte di carriera di secondo piano, con il gioiellino Chi ha paura delle streghe? (The Witches, 1990), personale oggetto di culto di chi scrive nonché splendido incontro tra due personalità entrambe in grado di guardare “all’interno della notte” come Roeg e Roald Dahl, mitico scrittore dal cui romanzo il film è tratto. Sembra un lungometraggio per ragazzi, come tutti gli scritti di Dahl. Sembra, appunto. Solo per capire, alla fine, che le fobie non possono avere limitazioni di età. E Anjelica Huston è la più fascinosa ed efficace strega che sia mai transitata sul grande schermo…
Con la dipartita di Nicolas Roeg, dunque, se ne va un altro, grande, frammento di un’epoca cinematografica irripetibile, dove ancora era possibile girare opere secondo una visione personalissima e non omologata. Bei tempi.
Daniele De Angelis