Conversando con un’interprete poliedrica, dal promettente futuro artistico
Non solo cinema. È questa una delle prime scoperte che abbiamo fatto, conversando con Maria Roveran e indagando poco alla volta sui diversi talenti che la giovane attrice sta coltivando. C’è infatti una Maria coinvolta in impegnativi spettacoli teatrali. Così come c’è una Maria capace di stregare con la voce, rivelando già nel primo album “AlleProfondeOriginiDelleRugheProfonde” doti di cantautrice dalla spiccata personalità, di sicuro non facile da incasellare in qualche griglia precostituita.
Ma è comunque dal cinema che siamo partiti. Perché il suo piccolo ruolo nel film di Claudio Noce, La foresta di ghiaccio, ci aveva intanto permesso di apprezzarne l’eterea sensibilità, non schiacciata ma forse ulteriormente valorizzata dalla compresenza di un cast molto al maschile, fatto di lineamenti rudi, scavati, taglienti. Quel suo fisico flessuoso e l’espressività racchiusa nel volto, un concentrato di pallore e rarefatta bellezza, avevano già fatto colpo. La qual cosa ci ha poi spinto a recuperare il film di cui lei era stata co-protagonista, Piccola patria di Alessandro Rossetto: una produzione cinematografia indipendente di cui avevamo sentito parlare generalmente bene e che, alla prova del nove, si è rivelata uno degli esordi italiani più interessanti dell’ultimo periodo.
Le premesse, quindi, c’erano tutte. Ed è da tale consapevolezza che si è mossa la nostra conversazione, rivelatasi peraltro stimolante e piacevole.
D: Possiamo cominciare la nostra chiacchierata da La foresta di ghiaccio, Maria, considerando che la partecipazione del film al Festival Internazionale del Film di Roma ha rappresentato, anche per te, una vetrina importante: come valuti intanto questa tua esperienza festivaliera? E quali sono state le tue impressioni, relativamente all’accoglienza tributata al lungometraggio di Claudio Noce da stampa e pubblico?
Maria Roveran: Partecipare al Festival Internazionale di Roma è stata per me un’esperienza davvero molto importante che mi ha permesso di interfacciarmi nuovamente con il mondo del cinema, (inteso nel senso più esteso del termine) ed al contempo stesso con il mondo della critica e degli spettatori. Mi piace vivere le esperienze Festivaliere così, come dei momenti d’incontro preziosi in cui possono avvenire degli incontri speciali: tra addetti ai lavori e fruitori; tra chi lavora nel cinema, nello spettacolo e nella comunicazione e chi il cinema lo ama e desidera viverlo più da vicino. L’accoglienza in sala ed in conferenza stampa è stata molto positiva, certo le critiche non sono mancate anche se oggi, a distanza di qualche tempo dalla presentazione del film, posso dire che forse La Foresta di Ghiaccio qualche attenzione in più se la sarebbe meritata. Non dico ciò da addetta ai lavori ma semplicemente perché così la pensa la parte più sincera di me.
D: Del film diretto da Claudio Noce, che sembra aver generato nella critica cinematografica giudizi assai diversificati, ci ha particolarmente impressionato l’impatto visivo delle scene girate in alta montagna. Come ricordi l’esperienza su un set del genere, caratterizzato anche da difficoltà logistiche e condizioni climatiche estreme?
Maria Roveran: Girare immersi nella natura, lavorare standole in ascolto, cercando di affrontare al meglio gli imprevisti che il clima ed il set presentavano all’intera troupe, mi ha fatto comprendere quanto sia fantastica la natura in quanto istintiva e fenomenica. Bisogna darle ragione e farci i conti. E questo per noi che pensiamo di avere sempre ragione è un insegnamento non da poco! La gestione dei tempi di riprese in un contesto ambientale così volubile ed a tratti avverso per precipitazioni ed incombenze fisiche ci ha portati a reagire cercando di ottimizzare le ore di luce, gli spostamenti e tutte quelle azioni che in città sicuramente vengono sottovalutate. A tratti, su quella neve mi sono sentita piccola ed è stata una sensazione che mi ha permesso di fare i conti con alcuni aspetti di me piuttosto profondi. Se posso riassumere ironicamente: “Maria, lascia che Dio lo faccia Dio. Tu pensa a dare voce a Sandrina, se ce la fai!”
D: Sempre in merito a La foresta di ghiaccio, come è stato lavorare al fianco di star internazionali come Ksenia Rappoport e il grandissimo Emir Kusturica?
Maria Roveran: Lavorare con due grandi professionisti come Ksenia ed Emir mi ha davvero insegnato molto, sia a livello attoriale e lavorativo in generale, che a livello umano. Ho trascorso parecchio tempo con Ksenia che mi ha dato molti consigli preziosi e che è stata per me davvero un importante punto di riferimento, in qualità di attrice e di donna.
D: Il tuo personaggio rivela nel film di Claudio Noce una sensibilità particolare, una sua vulnerabilità in grado di evidenziare poi certi atteggiamenti di prevaricazione, di intimidazione psicologica, dei quali si fanno carico personaggi maschili dai modi rozzi, loschi, volgari e scarsamente empatici. Cosa pensi della ragazza che interpreti, circondata nel film da una fauna maschile non proprio raccomandabile? E come ti sei preparata per dare un’impronta al tuo personaggio, usufruendo tra l’altro di un numero di scene non così elevato?
Maria Roveran: Sandra, il personaggio che interpreto, è una ragazza tanto fragile quanto determinata. Credo che in fondo ad ogni fragilità si nasconda una linfa tenace, vitale, che in Sandra prendeva le sembianze di una “lieve pazzia”. Tutto ciò le permetteva di sopravvivere in un contesto di sopraffazione e soprusi all’interno del quale altrimenti sarebbe crollata definitivamente. Le scene che ho interpretato non sono state molte, ma ho pensato di lavorare dietro le quinte come se fossero migliaia. È stata anche questa una grande esperienza per me: ho capito che la passione, lo studio e l’interpretazione di un piccolo ruolo come questo non devono mai essere da meno della passione, dello studio e dell’ambizione di cui un ruolo primario necessita.
D: Come è nata la scena nella quale sei chiamata a cantare, in mezzo agli uomini del paese?
Maria Roveran: È stata una scena per me delicata che ricordo ha sospeso la troupe intera. Avevo scritto quella ninna nanna per il provino. L’ho chiamata “Putea dela Luna”, ovvero “Bambina della Luna”, proprio per la fragilità che da subito mi aveva comunicato il mio personaggio. Claudio desiderava che il mio personaggio si mettesse completamente a nudo emotivamente attraverso quella canzoncina, non so se mi sia “spogliata” abbastanza cantandola ma…ci ho provato.
D: Per restare in tema, vuoi parlarci un po’ della tua carriera parallela di cantante? Abbiamo ascoltato alcuni tuoi pezzi, dai quali si rimane colpiti per il modo in cui si incontrano un sound cosi moderno, essenziale, e il fascino atavico della lingua, delle parole. Ti senti molto legata al dialetto, per esempio? E qual è la tua formazione musicale?
Maria Roveran: Io non sono molto legata al dialetto, direi piuttosto di essere legata a tutte quelle strutture ed a quei codici lessicali che mi consentano di evocare stati d’animo ben precisi e per questa ragione mi servo del dialetto ed è per questo motivo che lo amo. Studio canto, sto iniziando a studiare pianoforte e credo che il mio percorso sia ancora lungo ma amo la musica, i suoni, amo la voce e mi piace studiarla nei suoi aspetti più profondi e curiosi.
D: La musica ha un’importanza notevole anche nel precedente film, Piccola patria, di cui tu sei co-protagonista. Come è nata la tua partecipazione a questo progetto cinematografico, che ha riscosso consensi di critica finanche maggiori?
Maria Roveran: È nata da una serie di provini che ho affrontato quasi casualmente, dopo che una studentessa del corso di Regia del Centro Sperimentale mi ha riferito che un suo ex docente stava facendo dei provini per trovare una ragazza di origine veneta. Quel docente era Alessandro Rossetto ed è così che l’ho conosciuto. I provini sono stati molti e ricordo che al mio primissimo provino recitai con Lucia Mascino, attrice che poi è stata scelta per interpretare il ruolo di mia madre. Lucia è un’attrice di una bravura pazzesca, una persona che mi ha insegnato l’importanza dell’ascolto. Le voglio molto bene.
D: Come descriveresti il personaggio di Luisa in Piccola patria?
Maria Roveran: Luisa è una giovane ribelle, testarda, ambiziosa, provocatoria ed estremamente ferita, profondamente fragile. Luisa è una che mangia pane e salame, una che parla ai conigli e che corre tra i campi. Al tempo stesso è anche una che, se sale in una giostra che non le piace, non solo cerca di scendere ma anche di farla a pezzi, con il rischio di demolire, oltre alla giostra, tutto quello che di buono portava dentro di sé e tutto quello che di buono le viveva attorno.
D: Quanto è stato duro lavorare su un personaggio che, nel film, si espone parecchio, sia dal punto di vista fisico che emotivo?
Maria Roveran: È stato faticoso ma affascinante ed estremamente liberatorio, ed è stata una fatica condivisa con tutta la troupe.
D: Cosa pensi del ritratto, sicuramente critico ma in parte anche empatico, che un film come Piccola patria riesce a delineare, rispetto alle regioni del nord-est italiano?
Maria Roveran: Penso che Piccola Patria non sia esattamente il ritratto del nord-est italiano ma il ritratto di un certo tipo di realtà e mentalità presente oggigiorno in Italia e nel mondo. Credo che uno degli obiettivi del film sia proprio quello di far riflettere sulle dinamiche sociali che oggi, come un tempo, non potremmo permetterci di negare, di sottovalutare.
Credo sia importante sottolineare perciò l’importanza che la storia narrata assume all’interno del film, il ritratto critico ne può derivare può esserne soltanto una conseguenza. In fondo sono convinta che questo film parli principalmente di amore.
D: Ti stiamo imparando a conoscere come un’artista molto eclettica, che passa con disinvoltura dal cinema al teatro e alla musica. Come ti poni a riguardo? E quali progetti hai nell’immediato futuro?
Maria Roveran: Desidero affrontare questo percorso cercando di stare sempre ben ancorata alle cose che per me sono davvero importanti. La cosa che desidero di più è fare i conti con i miei limiti cercando di comprenderli ed accettarli. Questo per me è un percorso di studio e lo studio che mi aspetta è ancora tanto.
Stefano Coccia