Nel ventre di Madre Natura
La nostalgia si sa prima o poi si fa sentire per chi del passato conserva un buon ricordo. Nel caso di Ben Wheatley, ora che da qualche anno a questa parte la svolta per così dire mainstream lo ha allontanato da quella dimensione orgogliosamente e coraggiosamente indie che ne ha aveva caratterizzato gli esordi sul grande schermo, è legata proprio ai bei tempi che furono. Approfittando dello stop imposto dalle note cronache pandemiche alle produzioni high budget, il cineasta britannico ha colto l’occasione per disintossicarsi con un film che gli consentisse di tornare alle sue origini. Si tratta di In the Earth, un lavoro ultra-indipendente girato in sole due settimane nell’agosto del 2020 in una foresta del Galles, con una manciata di attori e una troupe ridotta al minimo, presentato in anteprima mondiale al Sundance e approdato di recente nel fuori concorso della 21esima edizione del Trieste Science + Fiction Festival.
Con la proiezione alla kermesse giuliana abbiamo potuto apprezzare questo tuffo nel passato di Wheatley dopo le fatiche di operazioni più economicamente strutturate come High-Rise, Free Fire o Rebecca e quelle future che lo vedranno al timone tra gli altri del sequel di Meg, verificando con i nostri occhi quanto queste non abbiano influenzato, intaccato e viziato il suo modo di fare e concepire il cinema. Quella che speriamo non sia una parentesi indipendente, ma un appuntamento fisso negli anni avvenire, ci ha restituito un autore “libero” di dare sfogo alla sua creatività strabordante, la stessa che all’epoca di Down Terrace, Kill List, Sightseers e A Field in England ha fatto brillare gli occhi a tanti, noi compresi. Con lo spirito, l’approccio e la spinta propulsiva che ha mosso quelle opere, il regista inglese ha confezionato uno sci-fi horror psichedelico che si traduce in un viaggio allucinante e allucinogeno che, partendo dalla tragedia dei giorni nostri, si spinge e ci spinge in un tour fisico, emozionale e mentale tra misticismo pagano e trip lisergico, un po’ sulla scia del Midsommar di Ari Aster.
Wheatley ci catapulta al seguito di Martin Lowery, uno scienziato che viene inviato in un avamposto governativo fuori Bristol per contribuire agli studi e alle ricerche su una cura per un terribile virus portati avanti dalla sua ex-collega Olivia Wendle. Assieme a una delle guardie del parco, Alma, si avventura nella foresta per un controllo di routine delle attrezzature. Durante la notte la spedizione si trasformerà in un viaggio nelle viscere tenebrose della foresta, improvvisamente viva attorno a loro.
Attraverso questa disavventura bucolica, il regista s’interroga su ciò che la nostra madre terra nasconde nelle sue viscere. Lo fa immergendo e avvolgendo il tutto in uno spazio aperto nel mezzo del nulla, al di sotto del quale suoni distorti e disturbanti, spore stupefacenti e luci accecanti scaraventano personaggi e spettatori in una crisi mistica tra reale e irreale. Gli ultimi ipnotici minuti sono un’autentica aggressione audiovisiva e sensoriale non solo ai personaggi ma anche al fruitore, che smette di assistere passivamente alla lotta per la sopravvivenza dei due protagonisti. La forza di In the Earth sta proprio in questo azzeramento della distanza tra chi c’è davanti allo schermo e chi c’è sullo schermo, al quale ha contribuito in maniera determinante le note della colonna sonora firmata da Clint Mansell.
Francesco Del Grosso