Piume e fiamme
Per capolavoro s’intende un’opera generalmente considerata eccelsa, oppure la prima in ordine d’importanza di un artista, artigiano o autore. Di questa parola però si abusa e se n’è fatto e se ne continua a fare spesso un uso improprio, ad esempio quando viene associata, attribuita o accostata a un’opera, qualsiasi essa sia, che non la merita, tenendo sempre presente che il giudizio in sé scaturisce da un gusto soggettivo che varia da persona a persona. Poi ci sono quei capolavori universalmente riconosciuti, definiti e diventati tali poiché capaci di mettere tutti d’accordo grazie alle indubbie qualità intrinseche ed espresse. Ecco perché è impossibile non scomodare il termine in questione ogniqualvolta ci si trova al cospetto di un lungometraggio firmato dal regista Premio Oscar® e maestro dell’animazione Hayao Miyazaki.
Alla veneranda età di 82 anni, dopo essere fortunatamente tornato sui suoi passi in seguito agli annunci di ritiro prima all’epoca di Si alza il vento (2013) e poi del cortometraggio Boro il bruco (2016), il regista giapponese ha dato alla luce l’ennesima straordinaria creatura animata della sua immensa e pluridecorata carriera, che speriamo con tutto il cuore non sia veramente quella conclusiva, anche se questa volta le probabilità che lo sia sono piuttosto concrete. Ma la speranza si sa è l’ultima a morire e confidiamo in un ulteriore ripensamento, perché siamo sicuri che Miyazaki abbia ancora tantissimo da dare, mostrare e raccontare alle platee di tutto il mondo. È sufficiente la scena iniziale e i primi minuti che vedono il protagonista correre a perdifiato tra la folla e le fiamme per ricordare cosa il regista giapponese sia capace di sprigionare con le sue immagini in termini di potenza evocativa, emozionale e visiva. Un potenza senza eguali.
Con Il ragazzo e l’airone, nelle sale italiane dal 1° gennaio 2024 con Lucky Red dopo la presentazione in anteprima condivisa tra Alice nella città e Festa del Cinema di Roma 2023 lo scorso ottobre, il cineasta di Tokyo se non ha dato alla luce un altro capolavoro poco c’è mancato. La pellicola tratta dal romanzo Tu come vivi? di Genzaburo Yoshino, che gli era stato regalato dalla madre quando era ancora un ragazzo, sfiora ma non raggiunge quelle vette toccate in passato da altri film del calibro di La città incantata o Il castello errante di Howl, tanto per citarne con estrema difficoltà solo un paio. Le due ore e passa lungo le quali prende forma e sostanza narrativa, drammaturgia e visiva il dodicesimo lungometraggio hanno più che altro il sapore inconfondibile di un testamento, esistenziale e immaginario, che il maestro ha voluto donare al pubblico, con e attraverso il quale trasmettere una serie di messaggi a lui cari e dove racchiudere tutto quello che è stato, è e continuerà ad essere il suo universo con tutte le creature che lo popolano. Assistere sullo schermo a Il ragazzo e l’airone equivale dunque all’apertura di uno scrigno pieno zeppo di tesori da esplorare, all’interno del quale tra l’altro lo spettatore di turno potrà per la prima volta in assoluto trovare elementi semi-autobiografici che riconducono agli avvenimenti dell’infanzia di Miyazaki. Il ché conferisce un valore ulteriore all’opera, rendendola ancora più preziosa, a maggior ragione se come accennato in precedenza con essa dovesse purtroppo termine il percorso artistico del regista nipponico.
Il film è un magma incandescente, inesauribile e di straordinaria potenza, che racchiude quella che è la filosofia di Miyazaki, oltre all’unicità di stile e al linguaggio pieno di simboli, rimandi, metafore universali, tra reale e magico, tra superstizione e fiaba, che insieme a tutte le tematiche legate all’essere umano, alla trasformazione fisica e interiore, hanno da sempre alimentato la sua Arte. Il risultato è un fantasy che unisce romanticismo e umanesimo a un piglio epico, con una cifra di fantastico visionario che lascia ancora una volta sbalorditi. Il senso di meraviglia che i suoi film trasmettono, compreso quest’ultimo, risveglia il fanciullo addormentato che è in noi. Non a caso Il ragazzo e l’airone racconta la storia di Mahito, un dodicenne che, spinto dal desiderio di rivedere sua madre, si avventura in un regno abitato dai vivi e dai morti. Un luogo fantastico dove la morte finisce e la vita trova un nuovo inizio.
Il punto di partenza sono le già citate pagine del libro del 1937 di Genzaburo Yoshino, alle quali si vanno ad aggiungere per i più attenti anche quelle de Il libro delle cose perdute di John Connolly, che forniscono una sorta di vaga struttura per la vicenda vera e propria, e de La torre spettrale di Ranpo Edogawa, che Miyazaki ha amato da bambino e da cui ha tratto ispirazione per dare forma alla torre in cui si perde il giovane protagonista. Reference, queste, che il cineasta ha fatto sue e plasmate per comporre un equilibrio perfetto tra realtà e immaginazione, passato e futuro, aspirazioni e rimpianti, vita e morte, uomo e natura. C’è ampio spazio infatti per gli ingredienti fondanti di un altro capitolo di un romanzo di formazione, ma anche l’occasione per lanciare l’ennesimo messaggio ecologista e per indicare la strada giusta da percorrere per imparare a vivere e a superare certi egoismi ed egocentrismi. Una lezione, quella di Miyazaki, impartita con l’umiltà, la chiarezza, l’onestà e la poesia che l’hanno sempre contraddistinto dalla massa.
Francesco Del Grosso