Home Speciali Interviste “Chi ha rapito Jerry Cala?” – Interviste

“Chi ha rapito Jerry Cala?” – Interviste

121
0

Un vivace resoconto dell’incontro della stampa romana col celebre attore e regista

L’ultimo film di Jerry Calà è stato presentato in anteprima alla Casa del Cinema di Roma; alla proiezione è seguita una frizzante conferenza stampa con il regista/attore e gli altri protagonisti, di cui possiamo riportare uno stralcio. Incontro moderato da Ilaria Ravarino.

D: La prima domanda è quasi di rito: il tuo settimo film da regista, Chi ha rapito Jerry Calà?, arriva a 4 anni dall’ultima tua prova sul set – da regista intendo. Che cos’è che ti ha spinto a tornare dietro la macchina da presa? In un progetto, tra l’altro, oltre che diretto scritto, col tuo nome nel titolo.
Jerry Calà: È stata una idea di amici comuni miei e dei produttori, che sono Giorgio Bruno e Angelo D’Agata, un regista e un montatore; mi hanno chiamato e mi hanno detto: abbiamo avuto una folle idea, perché non facciamo un film in cui vieni rapito e interpreti te stesso? Mi sono consultato con lo sceneggiatore Edoardo Bechis, abbiamo cominciato a fare un po’ di battute, a immaginare scene, abbiamo giocato molto sull’autoironia ed è stato scritto questo film. Poi sono intervenuti i produttori Gianluca Varriale e Alessandro Riccardi, che hanno prelevato il progetto in toto, l’hanno fatto loro e mi hanno fatto questa proposta: facciamolo a Napoli. E io ero molto felice, non avevo mai girato un film a Napoli, è bellissimo, Napoli, Ischia, poi andiamo in Molise. Facciamo vedere di Napoli anche dei posti che non si vedono abitualmente. Poi abbiamo proposto la sceneggiatura a Sergio Assisi che si è mostrato subito entusiasta.
Sergio Assisi: A me le follie piacciono.
Jerry Calà: Poi abbiamo fatto un cast stupendo, perché secondo me gli attori napoletani, senza togliere niente agli altri, hanno una marcia in più. Hanno questa musicalità loro dentro quando parlano e che affascina. Poi Barbara Foria, meravigliosa, Antonio Fiorillo. E abbiamo anche un cinonapoletano. Infine abbiamo avuto questa chicca di Clementino, con un brano scritto insieme, io gli ho dato l’idea e lui ha fatto questa meraviglia. E c’è anche la partecipazione dei miei amici, Mara, Boldi.
Tanto divertimento ma tanta fatica, che alla fine delle riprese mi ha dato un colpettino.
Sergio Assisi: Mi è stata proposta veramente una follia, ma com dicevo a me le follie piacciono, e poi diciamo la verità: Jerry Calà ha fatto 50 anni di storia e continua a cantare, a suonare, la sera, più di me. Alle tre di notte sta lì a cantare io non ce la farei.

D: Sono curiosa di sapere questo, la scelta di Napoli e poi il coinvolgimento di tante altre persone; ho visto dei cameo divertentissimi, avete messo insieme una compagnia incredibile.
Jerry Calà: Sì, Nando Paone, Maurizio Casagrande, ho voluto proprio caratterizzare Napoli con delle facce, dei caratteristi meravigliosi e la mia soddisfazione è che sono venuti tutti.
I produttori Gianluca Varriale e Alessandro Riccardi: La scelta è stata questa, di portare questa storia, che era stata scritta inizialmente per la Puglia, in Campania. Noi siamo di Napoli e abbiamo pensato di portare la storia in Campania, trovando delle location alternative, come Pozzuoli, il monte di Procida, Ischia, che tra l’altro veniva poco dopo il dramma dell’alluvione. Noi siamo una produzione indipendente, facciamo tutto con soldi privati, non abbiamo avuto un Euro per fare questo film. È stata proprio una scelta quella di fare location, casting, un film che potesse parlare di un territorio in un modo alternativo, giocando sul discorso camorristico, perché ormai tutti i film napoletani sono o mandolino o pistola, in questo modo di certo abbiamo fatto una commedia non legata al mandolino. E poi il Molise, ché avevamo bisogno di creare un po’ d’aria oltre Napoli, il Molise che dicono sempre che non esiste: abbiamo fatto vedere che c’è. Volevo anche dire della tragedia umana, quando Jerry ha avuto quel colpetto a pochi giorni dalla fine; noi abbiamo avuto un doppio trauma, nel senso umano e poi quello di fermare tutta la produzione a due giorni dalla fine con una notevole sofferenza economica. Però alla fine questa cosa ha fatto maturare in coda idee come quella di Clementino. È un piccolo film non è un budget enorme ma noi crediamo che come scrittura tutti aspettavano il cinepanettone, in realtà la scrittura ha attirato professionisti come loro e poi vorrei ricordare altri attori come Maurizio Casagrande, Gianfranco Gallo, Nando Paone. Pasquale Palma, Tizzano poi che è la nota femminile che però vince, lei non è la donna oggetto ma al contrario è lei che rende oggetto tutti gli altri. E quindi nel nostro piccolo abbiamo provato a fare uno sforzo
Jerry Calà: E poi secondo me un’idea che mi piace molto è il fatto che i rapitori mi portano in un cinema abbandonato che oggi è molto attuale e forse uno dei motivi che spinge i rapitori a rapirmi è forse di riaprire questo cinema e se questo discorso qualcuno l’ha colto noi ce l’avevamo in testa.

A questo punto si è chiesto se i riferimenti nel film a qualcosa di più profondo, cioè questo, la crisi del cinema ma anche più in generale la crisi economica, che danno al film una lettura più profonda, sia stato fatto con volontà precisa.

Jerry Calà: No. Questo me l’ha insegnato Ferreri. Quando ho fatto il film di Ferreri, a un certo punto eravamo in pausa e Marco Ferreri mi ha detto “Vedi Jerry, se per esempio in questa scena faccio passare un nano, ci scrivono quattro libri. E invece mi girava il cazzo e ho fatto passare il nano”. Quindi non cerchiamo cose profonde dove… quello che invece ci tengo a dire è che la mia paura era che un titolo così portasse il pubblico a pensare a qualcosa di commerciale, leggero, televisivo. Mentre noi ci abbiamo tenuto a fare un film vero, cioè nella sua follia è reale, non è sopra le righe, un umorismo sopra le righe, è un umorismo di situazione. E anche nelle musiche di Di Stefano ci abbiamo tenuto a riportare quell’atmosfera dei poliziotteschi anni Settanta.

La prossima domanda è per gli altri interpreti: noi conosciamo Jerry come attore; com’è Jerry sul set come regista ? Quanto vi ha lasciati liberi?
Antonio Fiorillo: Io sono un po’ di parte, perché Jerry è il mio idolo. Da bambino in questo cinema di provincia andai a vedere Vacanze di Natale, quarant’anni fa, quindi molti anni fa, e cominciai a capire quello che volevo veramente fare nella vita. Forse avevo 8 anni, 9 anni. Poi che cosa succede, che la vita ti porta a conoscere Jerry nel 2011 con un film che abbiamo fatto, poi non ci vediamo più, io lo vado a vedere in una serata che lui è venuto a Napoli e vedevo che mentre lui cantava mi guardava, perchè poi io cantavo tutte le sue canzoni. A un certo punto ero a casa, era un pomeriggio, un sabato, vi dico anche l’orario erano le 18.04 (!!!), stavo nella mia poltrona nella mia assoluta solitudine, nella mia casa solitaria, squilla il telefono: Sono Jerry Calà. Sto sognando, sto dormendo. E mi dice guarda ho una parte, un personaggio per te. Io poi ero chiamato “una posa” perché faccio una posa, due pose… faccio 10 film l’anno però faccio 10 pose. E poi mi chiama Jerry per il film. È uno dei protagonisti si chiama Dino. Leggi. Io ho letto il film e a un certo punto come dice Sergio ho detto: questo è un film diverso, ha una marcia in più perché all’interno ha quella follia che da un po’ di tempo manca nelle commedie italiane. E poi il fatto di metterlo in un cinema abbandonato, andare poi in un paese, San Giuliano nel Sannio dove noi pensiamo che non ci sia nessuno e arriviamo e c’è questa festa di Natale, erano tutte cose che a me sono sempre piaciute. È stato un set sereno, carino, ho avuto il piacere di conoscere Yang, di lavorare con un attore che io ho sempre amato che è Sergio Assisi, di rivedere Barbara Foria, di avere come regista e compagno di scena e di set Jerry Calà, di aver conosciuto Johnny, e chiuderei con una citazione di Isaac Newton “Se oggi guardo lontano è perchè sono stato sulle spalle dei giganti”.
Shi Yang Shi: Io sono milanese. Ho incontrato Jerry a viale Brianza e prima ancora Gianluca al Festival di Roma, forse per la semplicità dell’incontro, mi ha portato a non un provino, non su parte, mi ha fatto direttamente recitare. Io non avevo neanche ricevuto la scena tre ore prima, gli chiedo ma non è che c’è una scena e meno male me la sono fatta mandare. Poi è stato così naturale, e ho capito che sono legato a questo Paese in modo karmico – che non vuol dire destino, vuol dire azione. Io non volevo venire qua, è stata una disavventura, e adesso essere qui tra i protagonisti dopo vent’anni che recito è un motivo per credere nel cinema italiano. Grazie.
Barbara Foria: È stata una gioia lavorare con Jerry. Prima domandavi com’è come regista: è un rompipalle. È preciso, meticoloso, uno può pensare che è caciarone invece è precisissimo, di quelli che doveva andare a controllare tutto in maniera minuziosa, voleva rifare continuamente le scene se non era soddisfatto, quindi come regista da questo punto di vista è un rompiscatole, ma la cosa veramente bella è stato quando abbiamo girato la prima scena con Sergio a Ischia: la nostra generazione è cresciuta con Jerry, per noi era un mito. Io pure ero intimorita, non facendo tantissimo cinema, all’idea di lavorare con lui, tante volte c’è un pregiudizio sulle attrici comiche che vengono dal teatro, perché si pensa che possiamo a volte eccedere in alcune situazioni. La cosa che mi ha emozionato è stato il primo ciak mio e di Sergio, che ci conoscevamo ma non avevamo mai lavorato insieme e Jerry alla fine della scena mi ha detto “Mi sei piaciuta perché sei stata molto vera”. Perché questo film, ci ha tenuto a dirlo, voleva che fosse un film vero, voleva una recitazione vera, reale, non da commedia troppo anni 80. E secondo me nel film questo traspare. E poi concludo, secondo me in questo film, oltre a essere una commedia, sin quando lui me l’ha proposto ci ho letto un messaggio molto amaro. Quindi un’amara commedia. Perché lui con questa scrittura, dice “quando sei forte tutti vogliono stare sul carro del vincente”, lui poi va a chiedere aiuto, è triste il messaggio, amici amici amici, amici un cavolo. Quindi secondo me c’è un bellissimo messaggio in questa commedia.

Una domanda a Jonny. Ti ha dovuto convincere a partecipare, sei stato felice? Nel senso anche nel film ti prendi un po’ in giro.
Johnny Calà: Io sono fan di tutto ciò che è metatestuale, metacinematografico. Quando mio padre già nel 2020 mi ha fatto leggere il progetto, mi ha parlato dell’idea, ero molto felice, ero molto emozionato perchè pensavo che fosse veramente un progetto divertente, un progetto fuori dagli schemi, anche per ciò cui siamo abituati nella cinematografia italiana, in particolare nella commedia, che forse si è un po’ arenata su determinate situazioni, determinati schemi. Devo dire che questo è un film che secondo me sia nella sua filmografia sia nella commedia italiana trova un proprio posto e brilla per originalità, quindi non ha dovuto convincermi, partecipare anche per un breve cameo è stato veramente un piacere e soprattutto mi è piaciuto moltissimo poter seguire mio padre in quest’avventura; avevo avuto già una precedente esperienza nel precedente film, ero stato alcune settimane a Roma con lui sul set, ma ero molto più piccolo, non avevo ancora studiato cinema. Quindi questa esperienza mi ha fatto veramente piacere.

Una domanda agli sceneggiatori: abbiamo parlato a più riprese del rapporto tra la commedia di oggi e la commedia anni 80. Nella scrittura di questo film quanto avete guardato cosa c’era prima, come vi siete regolati, anche nei toni, vi siete mai autocensurati per esempio?
Edoardo Bechis: No. Jerry è un editor veramente splendido. Spietato ma splendido. Noi puntiamo alla commedia, ma io citerei anche film come Un ragazzo e una ragazza, i primi film con Marco Risi alla regia, che magari oggi si vedono meno in tv, dunque Jerry è Sapore di mare, Vacanze di Natale, che ricordiamo era una commedia, non c’entra niente Vacanze di Natale col cinepanettone. Detto questo per noi la commedia dev’esser tante cose, dunque si, è vero, io sinceramente al di la di quel che diceva Jerry mi permetto di dire che abbiamo pensato anche alla realtà, ma mi viene normale, come ci viene normale non censurarci, semplicemente cercando di evitare certe volgarità o certe banalità; e ci divertiamo cercando di fare quella commedia che è irraggiungibile, che è quella degli anni ’60, ’70. E inviterei tutti a rivedere film come Un ragazzo e una ragazza, Colpo di fulmine; torni indietro e pensi, ah c’era anche quello.

Poi sono venute altre domande direttamente dalla stampa.

D: Visto che prima hai citato le musiche ti volevo fare una domanda sulle musiche. Prima ancora di quello volevo sapere qualcosa su un certo aspetto, anche se non calcato, nostalgico che è nel film, soprattutto nel momento in cui vediamo le foto dei Gatti, la copertina di TV Sorrisi e Canzoni. E per quanto riguarda invece le musiche non so se è un’impressione mia, c’è un citazionismo rivolto al Morricone dei primi Verdone, da Un sacco bello a Bianco Rosso e Verdone, proprio evidente.
Johnny Calà: Sì, probabilmente la musicalità è un po’ quella. Ma io sentivo quelle musiche anche nei film polizieschi degli anni Settanta, quelle musiche col corettino, con le voci, mi è piaciuta molto l’impostazione che lui (Di Stefano, ndr) ha voluto dare alla colonna sonora del film che mi sembra lo corredi molto bene. Per quanto riguarda, beh, il fatto che nella valigia dell’attore di Sergio ci siano tutti i ritagli della mia carriera era perché a quel punto scopriamo che a lui non importava dei soldi ma voleva solo conoscermi e stare con me, aveva addirittura conservato i ritagli dei giornali come un fan maniacale. Non c’è nostalgia, è proprio di servizio alla storia, per far capire il suo personaggio.

D: nel film c’è un riferimento a Yuppies 3. C’è un progetto futuro?
Johnny Calà: Ci faceva ridere questa cosa qui, ci abbiamo pensato, lo facciamo o non lo facciamo e poi ho detto “dai facciamola”; e devo dire che l’artigiano che le ha fatte a L’Aquila le ha fatte anche molto carine, quella scena lì a noi divertiva molto
Sergio Assisi: Te l’ho portata io la sceneggiatura, che si dica, si è visto.
Johnny Calà: Lui ci ha portato la sceneggiatura di Yuppies 3. Tu cosa mi volevi chiedere se ci sarà uno Yuppies 3? Non credo proprio.
Barbara Foria: Però ci sarà un Chi ha rapito Jerry Calà 2!
Johnny Calà: No, adesso dobbiamo rapire Boldi.

Domanda per Johnny: Noi vediamo qui che Jerry Calà si propone come se stesso. Voi in famiglia cosa pensate della sua scelta di metter in scena un passato così burrascoso, di infedeltà. Che reazione avete avuto in famiglia quando vi ha detto voglio fare un film dove ci sono io in scena e parlo della mia vita privata?
Johnny Calà: Penso non ci sia nulla di male. Io credo che la forza di questo film e come si colloca nella sua filmografia sia il fatto che tutto è funzionale alla storia. Però c’è anche, per usare un termine che va tanto di moda oggi, tanto “fan service”, ma nel senso più positivo, perché è vero ci sono tanti momenti che sono una strizzata d’occhio, un regalo quasi ai fan più accaniti ed affezionati, ma questo fa parte del suo personaggio, di un vissuto che tutti conoscono, penso non ci sia nulla di male.
Jerry Calà: E poi mia moglie mi ha sposato che avevo 52 anni, quindi sapeva già a cosa andava incontro. E poi non è gelosa del passato, è una delle poche donne che non è gelosa del passato.
Johnny Calà: Anzi, si è divertita molto guardandolo, è la prima a ridere tantissimo per questo film, ad averlo apprezzato molto e ha apprezzato anche questo aspetto molto autoironico che credo sia la forza del film e la forza del suo personaggio, cioè di non essersi mai preso troppo sul serio ma di esser sempre stato molto genuino, molto spontaneo, molto vero, così come ha cercato di rendere più possibile vero questo lungometraggio.

D: Napoli viene usata spesso ma si cade anche spesso nell’oleografia; invece in questo film Napoli è presente ma non invadente. Qual è stata l’esperienza di lavorare per la prima volta a Napoli?
Jerry Calà: È stata un’esperienza meravigliosa. Soprattutto il mio… beh, lo dirò con una mia parola, la mia grande libidine è stata la preparazione di questo film perché venivano ai provini questi attori che poi io veramente non sapevo chi scegliere, perché erano uno più bravo degli altri; a me non è mai capitato di fare un casting dove avrei potuto scritturare qualsiasi attore che veniva a proporsi perché veramente, secondo me, Napoli ha questa forza: se parliamo di spettacolo è uno stato autonomo, ha una sua cultura, una sua musica, ha il suo cinema, ha il suo teatro. Perciò durante la preparazione è stata per me una libidine pazzesca, cioè, fare le scene con tutti questi ragazzi. E poi mi dispiaceva doverne scegliere solo qualcuno, devo fare un altro film subito.

D: Sono stati tirati in ballo i 50 anni di carriera, si è parlato di questa voglia di giocare in maniera autoironica con la propria storia e il proprio passato, Vacanze di Natale sta tornando al cinema dopo 40 anni, non voglio ovviamente un riassunto di questi 50 anni di carriera ma magari capire quelle che secondo Jerry Calà sono le ragioni di questa eterna giovinezza artistica. E poi ho una curiosità relativa alla battuta su Marco Bellocchio, anche in relazione con la citata esperienza con Marco Ferreri, per me sottovalutatissima, nella sua carriera.
Jerry Calà: La battuta di Bellocchio, vabbè, ma voi sapete che Massimo Boldi non è normale, è un cavallo pazzo. Per girare quel cameo ogni due minuti si inventava qualcosa che io cercavo di ridimensionare perché non volevo che uscisse dal tono realistico del film. Poi noi comici siamo sempre un po’ denigrati dal cinema d’autore e allora a lui è venuto “ti meriti un film con Bellocchio”. E a me è venuto, “No, Bellocchio no!” Ma io lo adoro Bellocchio, ho visto Il traditore quattro volte, è uno dei miei film preferiti, però ragazzi non fa male un po’ di ironia, o non si può più dire niente? E con questo rispondo anche al perché Vacanze di Natale, film cosi: perché la gente è stufa del politicamente corretto, non ne può più. Perciò i ragazzi quando vedono film degli anni 80 dicono ma voi eravate liberi, si, nessuno si offendeva. Io comprendo una nuova sensibilità però bisognerebbe non esagerare. E allora i ragazzi trovano più trasgressivi film come Vacanze di Natale di un film che esce oggi. Per farli oggi bisogna fregarsene degli haters. Stare nella legalità, però gli haters si incazzino pure.

D: E la battuta sulla femminista a mano armata. Con tutto il politicamente corretto di oggi come è passata la battuta?
Edoardo Bechis: In realtà non c’è mai stata censura tra me e Jerry, per me quella nuova sensibilità ce la abbiamo già. Ovviamente non è possibile paragonarla a quella di allora.

D: Volevo chiedere a Jerry Calà una riflessione sull’amicizia. Perchè in questo film i suoi amici non la salvano. Nella sua carriera professionale, ci sono stati amici che l’hanno salvata? E quanto ha contato l’amicizia nel suo lavoro?
Jerry Calà: In questo ambiente qui l’amicizia si conta su mezza mano, gli amici veri non sono quelli del cinema e del teatro, gli amici veri sono quelli che ti porti dall’infanzia e da casa. Poi in questo lavoro, si sa, lo diceva anche Truffaut in Effetto Notte, quando c’era la moglie del produttore che diceva “ma cos’è questo ambiente dove tutti si abbracciano, ti dicono amore amore e dopo come ti volti ti accoltellano?”. Quindi dire amicizia tra attori è una parola grossa. Può essere eh, ma io non l’ho molto trovata nella mia carriera. Ho trovato rispetto, simpatia, però è sempre così in ogni film: ah, poi ci vediamo, eh, mi raccomando… e poi non ci si vede più.

D: A proposito di Vacanze di Natale; qual è secondo lei, a parte il fatto che i ragazzi scoprono una ironia che oggi purtroppo non conoscono più, qual è la modernità di quel film?
Jerry Calà: La modernità è che all’epoca si usciva da una commedia degli anni 70 scivolata sulle liceali oppure sul molto sopra le righe, come erano divertenti ma surreali i film di Celentano o di Pozzetto. Invece allora i Vanzina ebbero il coraggio di riportare la commedia alla cattiveria e alla satira del momento, infatti fu chiamato anche “instant movie”, perché fotografava in quel momento quella voglia di opulenza degli anni 80, questo cafonismo, questo arrivismo, questo vorrei ma non posso concentrato appunto a Cortina, che è sempre stato un simbolo di lusso, ispirandosi anche al film di Sordi e De Sica, Vacanze d’inverno. E penso che anche oggi, secondo me, bisognerebbe tornare a fare commedie sul reale. Mentre invece adesso si tende a raccontare delle storie poco verosimili.
I produttori Gianluca Varriale e Alessandro Riccardi: Il nostro interesse a fare questo film ha coinciso, come è arrivata la sceneggiatura, col dire: ma davvero volete dire “tenetevelo”? Davvero volete dire che è un taccagno? Noi siamo rimasti incantati da questa possibilità di dire in modo pulito “tenetevelo”, cioè in modo autoironico. La prima volta che ho pranzato con Jerry per parlare di questo progetto dissi una frase, magari in modo semplice, “forse gli anni 80 non avevano altra ambizione se non far ridere; i 60 erano la nuova ondata, i 70 la ribellione, forse gli 80 volevamo solo far ridere”. Lui mi rispose: edonismo reaganiano. In quel momento, da quella risposta che mi diede, vidi la lucidità di quello che veniva raccontato ai tempi degli anni 80 e con effetto nostalgia quel che potevamo andare a riproporre, cioè la possibilità di rientrare ad una comicità scevra, libera da mille preoccupazioni, senza eccedere ovviamente in cafonaggine.

D: Un’ultima domanda; con questo film sei stato incredibilmente autoironico e ci hai raccontato un pezzo della tua vita; guardando avanti c’è un sogno, un desiderio inespresso nella tua carriera? Magari una chiamata di Bellocchio?
Jerry Calà: Magari mi chiamasse Bellocchio! Sai, per un attore non è mai finita; adesso mi piacerebbe separare l’attore e il regista. Anche perchè mi è venuto un infarto alla fine di questo film, quindi… Mi piacerebbe essere diretto da uno molto bravo, e fare un film dando dimostrazione di questa mia età, di questo aspetto, della mia maturità artistica. E interpretare un personaggio, anche nella commedia, ma in qualsiasi genere, dare una dimostrazione di questa maturità come attore. Invece come regista vorrei dirigere un film senza fare l’attore. Perché quando dirigo e tocca a me mi rompo le palle.

Michela Aloisi

 

Articolo precedenteChi ha rapito Jerry Calà?
Articolo successivoIl ragazzo e l’airone

Lascia un commento

Please enter your comment!
Please enter your name here

3 × 4 =