La fine del noir classico apre le porte al poliziesco degli anni successivi
La XXII edizione del Ravenna Nightmare Film Fest si è aperta con un cineclub d’eccezione: la proiezione in versione originale con sottotitoli de Il lungo addio di Robert Altman, trait d’union tra il vecchio noir ed il nuovo poliziesco alle porte, introdotta dallo scrittore e giornalista Nevio Galeati.
Con Il lungo addio del 1973, Robert Altman riporta sul grande schermo il detective Philip Marlowe, interpretato negli anni Quaranta del secolo scorso in successione da Dick Powell, Humprey Bogart, George Montgomery e Robert Montgomery. Contrapponendosi alla produzione, che avrebbe voluto al suo posto Lee Marvin o meglio ancora Robert Mitchum (che comunque interpreterà Marlowe nei successivi due film), Altman affida il volto dell’investigatore malinconico ad un eccelso Elliot Gould, grande attore in declino in quegli anni, che ritroverà il successo grazie proprio a questa sua magistrale interpretazione.
Il Marlowe di Altman non si rifà prettamente ai libri di Raymond Chandler, spiega Galeati, ma piuttosto ad alcuni appunti dell’autore, e lo stesso film si distacca in parte dall’omonimo libro, arrivando a darne un finale totalmente differente; la sceneggiatura di Leigh Brackett, in collaborazione con la visione di Robert Altman, differisce infatti sotto molti aspetti dal romanzo originale, rendendo ancora più sfaccettata la narrazione e soprattutto il senso profondo dell’intera opera. Altman riprende tuttavia, del detective letterario, la malinconica ironia, la profonda solitudine esistenziale che neppure il proprio gatto riesce a colmare. Un bellissimo gatto rosso che ruba la scena al protagonista nel lungo incipit, dando il via ad una catena ininterrotta di avvenimenti fino all’imprevedibile conclusione, che mette a suo modo la parola fine ad un’epoca: quella di Marlowe da un lato, quella del cinema noir dall’altro.
O meglio, dell’hardboiled: sebbene si tenda ad identificarli, l’hardboiled (letteralmente “uovo sodo”, ad indicare un prodotto “pieno”, nello specifico senza pause), genere letterario florido degli anni Trenta, alla suspense del noir contrappone una maggiore azione all’interno della storia, incentrata soprattutto sulla figura del detective protagonista, di cui lo stesso Chandler e Dashiell Hammett sono i capostipiti con i propri Philip Marlowe e Sam Spade, che incarnano un modello di investigatore ancora attuale ai giorni nostri. Il lungo addio è il sesto romanzo di Chandler, ed è l’addio di Marlowe, narratore in prima persona della storia, che esce definitivamente di scena con queste parole: “Non lo vidi mai più. Non vidi mai più nessuno di loro, eccettuato i poliziotti. Il sistema per dir loro addio non è ancora stato inventato.” Sebbene Altman abbia modificato la storia finale nel film, l’immagine di Marlowe/Gould che si allontana è emblematica e toccante, oltre che fotograficamente ed esteticamente perfetta.
La trama de Il lungo addio è un intreccio di ironia spavalda e malinconica, come dicevamo tipica del personaggio interpretato da Gould; l’amico di lunga data di Marlowe, Terry Lennox (interpretato eccezionalmente dal giocatore di baseball Jim Bouton), si presenta all’improvviso chiedendo un passaggio verso il Messico. Da qui, il detective si troverà al centro delle indagini della Polizia e nel mirino del gangster Marty Augustine: Lennox è infatti in fuga dalla Polizia con l’accusa di aver ucciso la moglie Sylvie ed allo stesso tempo dalla malavita, reo di aver derubato di una somma considerevole Augustine. All’intreccio si uniscono i coniugi Wade, lo scrittore alcolizzato Roger (alter ego dello stesso autore) e sua moglie Eileen, oltre ad un famigerato dottore specializzato in disintossicazione e recupero da dipendenze ed alle prorompenti vicine di casa di Marlowe, che praticano lo yoga e girano perennemente seminude (non a caso, nella prima edizione il film uscì in Italia in una versione più breve di circa dieci minuti per via della censura). Una chicca per cinefili: nel film appare finanche un giovanissimo Arnold Schwarzenegger nel ruolo di uno dei guardaspalle del gangster Augustine.
Siamo in una Los Angeles crepuscolare degli anni Cinquanta (il libro è del 1953), cinica, spietata e senza scrupoli, cornice perfetta per personaggi ambigui e pronti a tutto per perseguire i propri interessi; in mezzo a questa metaforica melma si muove scanzonato il nostro Marlowe, deciso a scoprire la verità su quanto è accaduto a Sylvia e all’amico Lennox, dichiarato suicida in Messico. Il detective appare a suo modo puro di fronte al torbido che lo circonda, disincantato di fronte alla varia umanità che il suo mestiere gli ha fatto incontrare negli anni, si muove con naturalezza nella sua città e con le persone ed affronta situazioni difficili e pericolose con l’ironia pungente ed acuta di uno stand up comedian che mal viene accettata da poliziotti e criminali privi di alcun senso dell’umorismo fino alla risoluzione del caso; ma sarà costretto a fare i conti con la consapevolezza di quanto abbia dovuto scendere agli inferi per arrivare alla verità, in un finale tanto amaro quanto imprevedibile.
Il lungo addio è quello alla lunga amicizia con Lennox ma è soprattutto quello di Marlowe, la fine del viaggio iniziato nel 1939 con Il grande sonno (sebbene Chandler lo farà tornare anni dopo in altri due romanzi, il secondo dei quali completato dopo la sua morte da Robert B. Parker); il detective non è più quello tutto d’un pezzo incarnato da Humprey Bogart, ma è piuttosto un uomo la cui esperienza accumulata negli anni ha tolto le illusioni, che vive e si muove nella dimensione cittadina pronto a parare i colpi della vita, che Gould interpreta alla perfezione. Per il regista, probabilmente, il lungo addio è anche quello definitivo al vecchio genere noir in bianco e nero degli anni Quaranta e Cinquanta, con il chiaroscuro ad evidenziare il contrasto indissolubile tra bene e male: con l’avvento della New Hollywood dalla fine degli anni Sessanta, il noir cambia aspetto e chiave di lettura, ed Il lungo addio di Altman apre le porte a quello che sarà poi il genere poliziesco degli anni Settanta.
Michela Aloisi