Home Festival Roma Berlinguer. La grande ambizione

Berlinguer. La grande ambizione

161
0
VOTO: 6.5

Un grigio funzionario

Una versione più o meno intima di Enrico Berlinguer. Realizzata da quell’Andrea Segre certamente memore del proprio passato da puro documentarista. Ovvia allora la cifra stilistica: ibridare la finzione con la realtà, alternando sequenze ricostruite in chiave fiction a materiale d’epoca, perlopiù manifestazioni di piazza. Funziona? Sì e no. Il lungometraggio Berlinguer. La grande ambizione – incaricato di aprire la Festa del Cinema di Roma 2024. Forse una collocazione troppo gravosa – inconsapevolmente sminuisce questa versione del segretario del Partito Comunista, mostrandone perplessità ed insicurezze molto evidenti, che fanno a pugni con il successo ottenuto presso l’elettorato di riferimento all’epoca. Ciò che emerge abbastanza a fatica, invece, è l’integrità dell’uomo, indiscussa ed ammessa anche dai principali avversari politici.
In realtà, nella finzione del film ambientato dal 1973 al 1978, Berlinguer sembra da subito coinvolto in una sorta di teatrino, con nemici di ogni tipo (italiani ed internazionali) che fanno di tutto per sottrargli l’ambizione del titolo, cioè quella di andare al governo. Obiettivo che tra l’altro non pare assolutamente di pertinenza del protagonista ma un’esigenza del tutto legittima da parte di coloro, parecchi, che hanno votato il partito nel corso della sua “reggenza”. Ecco allora Berlinguer (un Elio Germano sempre ottimo ma forse troppo giovane per la parte) recarsi in Unione Sovietica ad emanciparsi dalle mire del potente PCUS di Breznev. Oppure trattare con Aldo Moro il famoso compromesso storico. Con l’ingerenza in negativo di un Giulio Andreotti forse, almeno a giudicare dall’andamento narrativo dell’opera, il responsabile occulto dell’omicidio di Moro da parte delle famigerate Brigate Rosse (Rosse??) con la complicità di chissà quante altre pedine e mandanti. Se Berlinguer. La grande ambizione si lascia seguire è anche merito di una rilettura storica non scevra di qualche sorpresa rispetto a quella “tradizionale”. Tipo quella appena menzionata. Resta però il difetto d’origine, quello che sminuisce la figura di Berlinguer fino a far disegnare alla figlia più piccola, Laura, un uomo rimpicciolito dal peso delle responsabilità a cui la bambina stessa attribuisce il titolo di “un grigio funzionario”. Oppure la proiezione nel futuro di un Berlinguer in versione Ilaria Salis in cui lo stesso segretario afferma alla gente di periferia priva di fissa di dimora: “Occupate, occupate. Il partito resterà vicino a voi”. Un momento fuori contesto e soprattutto senza spiegazioni e approfondimenti che, scommettiamo, susciterà l’ilarità della destra di governo attuale.
Nonostante un epilogo bello e crepuscolare, in cui un Berlinguer ormai in totale solitudine dopo l’uccisione di Moro rimpiange ciò che avrebbe potuto essere e non è stato, pare difficile non pensare che uno dei pochissimi uomini politici italiani che si è calato nel ruolo di servizio ai cittadini come sempre dovrebbe essere, avrebbe meritato un film migliore, tra l’altro il primo a lui dedicato. Magari un’opera maggiormente coraggiosa sia a livello di forma cinematografica che di sviluppo narrativo del personaggio.
Sotto tutti i punti di vista.

Daniele De Angelis

Articolo precedenteLa stregoneria attraverso i secoli
Articolo successivoIl lungo addio

Lascia un commento

Please enter your comment!
Please enter your name here

3 × quattro =