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El Santo

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VOTO: 7

Genealogia della mistica contemporanea

Secondo film in concorso del 22° Ravenna Nightmare, dopo l’intrigante e atmosferico The Severed Sun di Dean Puckett, anche El Santo non ha deluso le aspettative. A riprova dell’estrema vitalità di una cinematografia, quella argentina, che proprio all’ultima Mostra del Cinema di Venezia aveva calato sul tavolo un asso capace di sparigliare tutto: El Jockey di Luis Ortega, surreale black comedy con toni da teatro dell’assurdo e dalla visionarietà incontenibile, ipnotica, spumeggiante.
Quasi altrettanto paradossale e spiazzante la parabola cinematografica proposta da El Santo, opera prima di Juan Agustín Carbonere, il quale nel suo messaggio al pubblico ravennate ci ha tenuto a precisare di essere particolarmente felice di tale proiezione, avendo lui stesso origini italiane.

Girato in bello stile, sommando a volte piani sequenza in grado di isolare un dettaglio rivelatore o qualche altro fattore che sappia circoscrivere la peculiare sensibilità del protagonista o dei personaggi a lui più vicini, El Santo ritaglia intorno alla figura di Rubén, modesto guaritore andato incontro a una fama dilagante e inaspettata, un’aura degna dello Jodorowsky di Psicomagia – Un’arte per guarire.
Proprio agli “atti psicomagici” così cari ad Alejandro Jodorowsky e ai suoi eredi si avvicinano, soprattutto nella loro componente corporea e psicosomatica, quelle tecniche curative applicate da Rubén intuitivamente, ma con esiti straordinari. Il tutto condito poi da uno “storytelling” altrettanto denso, emblematico, come si nota ad esempio nell’inquieta “parabola del gigante e degli esploratori”, raccontino archetipico sciorinato dal protagonista in modo un po’ enigmatico, quasi distratto, ma col quale la sotterranea morale di tale opera cinematografica finirà bene o male per sovrapporsi.

Sì, perché dopo l’incontro col piccolo Benjamin, bambino tetraplegico restituito da Rubén alla vita attiva, attraverso un singolare rito di rinascita, nulla sarà uguale a prima. Il guaritore, anche per le tendenze accentratrici e megalomani della madre di Benjamin, si troverà al centro di un circo mediatico dalle proporzioni elefantiache. Ad esserne travolti saranno man mano la sua dimensione privata, i suoi specifici poteri, il suo equilibrio mentale e infine la vita stessa. Propiziando così un epilogo tanto amaro, crudele, “politicamente scorretto”, quanto, a suo modo, esemplare…
Nell’orchestrare questa indiavolata ma al contempo “santa” sarabanda Juan Agustín Carbonere dimostra di continuo d’essere in possesso di uno sguardo smaliziato, pungente, ben formato sia sul piano stilistico che per la presenza di contenuti non superficiali, persino audaci. E pur scontando a tratti qualche passaggio narrativo un po’ affrettato, rapsodico, El Santo riesce a trasporre tali temi sullo schermo con una certa grazia, avvalendosi di una visione drammaturgica acuta e dallo spessore non così usuale.

Stefano Coccia

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