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Il ladro di giorni

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VOTO: 5

In viaggio con papà

Nel prologo de Il ladro di giorni Vincenzo (un Riccardo Scamarcio in usurata modalità “bello e dannato”) ci appare come un padre amorevole, dedito alla cura del figlioletto Salvo di pochi anni, da lui accompagnato in una bellissima spiaggia pugliese. Le apparenze ingannano. Quello stesso giorno infatti arrivano due tipi a prelevarlo, ed il piccolo Salvo rimane solo su uno scoglio a meditare sulle asprezze della vita. Trascorrono sette lunghi anni e Vincenzo si riaffaccia nell’esistenza di Salvo, nel frattempo trasferitosi in Trentino con la madre e il nuovo compagno. S’intuisce che il padre ha trascorso il periodo nelle patrie galere, ma ora il figlio gli serve come copertura per un trasporto di droga. I due così partono alla volta della Puglia, senza troppe resistenze da parte della mamma.
Ci sono film che veramente non hanno una spiegazione, tantomeno un’urgenza per essere messi in scena. Quello scritto – nonché tratto da un proprio romanzo – e diretto da Guido Lombardi rimane incerto per tutta la sua durata sulla direzione narrativa da intraprendere. Un road movie, senza dubbio. Il quale sin dal titolo vorrebbe riecheggiare quel capolavoro sospeso tra ritratto neo-neorealista e melodramma sommesso che fu Il ladro di bambini, diretto nel lontano 1992 da Gianni Amelio. La pecca principale, sorvolando su una regia convenzionale e calligrafica sin troppo tesa ad esaltare i panorami naturali pugliesi, risiede purtroppo nella scrittura, ormai atavico problema di qualsiasi film italiano non d’autore che tenti una strada differente dalla commedia. Sarebbe stato allora lecito attendersi un approfondimento del rapporto padre/figlio nel corso del viaggio; nonché uno sguardo morale, utilizzando la figura retorica dell’adolescente, sull’innocenza che trova un primo contatto con gli aspetti più brutali della crescita. Ne Il ladro di giorni, duole dirlo, non si trova nulla di tutto questo. Solo una serie di sequenze ad alto tasso didascalico che culminano in un prefinale da sculto di rara bruttezza e prevedibilità, collegate insieme da una serie di citazioni – ce ne è una, completamente gratuita, presa di peso addirittura da Collateral (2004) del grande Michael Mann, quando una coppia di poliziotti ferma l’auto di Vincenzo con l’intenzione di perquisirla – rabberciate alla bell’e meglio. L’empatia della condivisione emotiva non scatta mai, troppo evocata e ricercata da Lombardi per essere anche raggiunta.
Un fallimento quasi totale che coinvolge in primo luogo la performance attoriale di Riccardo Scamarcio, come detto poc’anzi nuovamente retrocesso ad un ruolo solo fisico e privo di spessore come gli capitava ad inizio carriera. Per tacere dell’uso maldestro di un interprete di razza come Massimo Popolizio, qui ridotto ad una parte in pratica insignificante. I personaggi femminili fanno da tappezzeria non giustificata, mentre il solo elogio incondizionato lo merita il piccolo Augusto Zazzaro (nella parte, ovviamente, di Salvo), unico membro del cast realmente convinto della presunta utilità del proprio lavoro. La domanda che balena nella testa, al termine della visione, riguarda il come sia stato possibile inserire il lungometraggio nella Selezione Ufficiale, una delle due opere battenti bandiera tricolore a rappresentare il nostro paese nell’ambito della quattordicesima edizione della Festa del Cinema di Roma. Un mistero pressoché insolubile che, temiamo fortemente, nessuno abbia la volontà di chiarire. Per un’opera che vede del tutto assente l’impegno civile infuso da Guido Lombardi nei film che hanno caratterizzato la parte iniziale della sua carriera, Là-bas – Educazione criminale (2011) su tutti. Un autentico peccato.

Daniele De Angelis

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