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Tutto il mio folle amore

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VOTO: 5

Lo soffierà il cielo

Un cantante di matrimoni con un passato da alcolista e suo figlio adolescente condividono un viaggio determinante in questo melodramma del regista premio Oscar Gabriele Salvatores. Sono trascorsi quasi tre decenni da quando Gabriele Salvatores ha vinto l’Oscar per il miglior film in lingua straniera con Mediterraneo (1991), e a giudicare da Tutto il mio folle amore, la sua ultima fatica presentata Fuori Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2019 e al cinema dal 24 Ottobre, il regista napoletano 69enne non ha perso la passione per vicende diaristiche on-the-road inondate dal sole, che però, in questo caso, si compongono più di stile che di vera e propria sostanza. A volte, infatti, riesce quasi indigeribile nel suo sentimentalismo zuccherato e nel suo fin troppo facile messaggio di vita.
Vincent (Giulio Pranno) è un sedicenne ribelle che vive con sua madre Elena (una Valeria Golino a dir poco fuori forma) e il padre adottivo Mario (ben interpretato da Diego Abatantuono). Il ragazzo soffre di un problema neurologico, mai completamente spiegato nella sceneggiatura, ma che sembra essere una sorta di autismo maniacale e altamente funzionale. Essenzialmente soffre di uno di quei disturbi drammaticamente convenienti che appaiono solo nei film, i cui sintomi principali includono un lunatico borbottio e la corsa selvaggia con i cavalli; una condizione molto particolare e che può essere domata con abbracci e canzoni (e favori sessuali da donne zingare esotiche forse è troppo, ma è una scena che ha dato molto fastidio). Salvatores paragona Vincent a uno degli sciocchi di Shakespeare, perché anche i suoi burrascosi sbalzi d’umore costringono i personaggi più potenti a piegarsi alla sua volontà. Un paragone che, oltre ad essere una presunzione piacevolmente poetica, è anche una rappresentazione della malattia mentale piuttosto infantile. Il padre biologico di Vincent, Willi (Claudio Santamaria), è un cantante da cerimonie che ha come ispirazione Domenico Modugno, un uomo volgare e affascinante che ha abbandonato Elena quando era ancora incinta di Vincent. Sedici anni dopo, mentre si sta esibendo nella ballata classica di Don McLean intitolata proprio “Vincent”, prende la decisione di cercare finalmente suo figlio. La sua riunione a tarda notte con Elena e con il suo nuovo compagno è inevitabilmente frammentaria, e culmina in lui che si allontana con Vincent nascosto nel retro del suo camioncino. Quando Willi si rende conto del clandestino a bordo, è ormai sulla strada per la Slovenia, dove lo attende l’ennesimo matrimonio. Nonostante le minacce di Elena di farlo arrestare con l’accusa di rapimento, Willi decide di tenerlo con sè. Ma una deviazione non pianificata porta poi questa strana coppia oltre il confine, nell’ aspro terreno costiero della Croazia. Con Elena e Mario sulle loro tracce, Willi e Vincent condividono un viaggio picaresco condito con sesso, alcol, groupies desiderose e femme fatales esotiche. La stretta rappresentazione delle donne in questa fiaba enfaticamente centrata sull’uomo sarebbe più problematica se anche i personaggi maschili non fossero altrettanto monodimensionali.
C’è un dolce road movie padre-figlio nel cuore di Tutto il mio folle amore, ma Salvatores cancella qualsiasi sfumatura e contamina con un’emotività insaponata anche i più teneri intermezzi di colori saturi e musica sentimentale. Il cast fa del suo meglio avendo a disposizione questo materiale, ma il massimo merito deve essere assegnato a Pranno, il cui ingrato debutto sul grande schermo gli richiede di offrire una prestazione estremamente faticosa proprio perché così ‘eccessiva’ e strabordante.
Nel complesso, Tutto il mio folle amore sembra quasi un compendio di cliché musicali e trovate superficiali che mirano ad un effetto più profondo: fra bottiglie di champagne che galleggiano nelle piscine e sale da ballo elegantemente illuminate, è tutto visivamente rigoglioso quanto drammaticamente vuoto. Persino le inquiete telecamere del direttore della fotografia Italo Petriccione, che turbinano e piombano all’infinito, sembrano esagerare. Purtroppo, quando un film si sforza eccessivamente di stringere le corde del cuore, oltre a peccare di slealtà, non riesce quasi mai nel suo intento.

Lady Stardust

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