Sola contro tutto e tutti
Non è facile essere una madre lavoratrice. Non è facile trovare un equilibrio tra lavoro e famiglia, facendo sì, al contempo, che tutto proceda per il meglio. Ma cosa accadrebbe se ci si ritrovasse da sole in un momento in cui il mondo stesso sembra andare a rotoli? Qualcosa in merito potrebbe dircelo Linda (impersonata da Rose Byrne), protagonista del lungometraggio If I Had Legs I’d Kick You, secondo lavoro di Mary Bronstein, presentato in anteprima mondiale in concorso alla 75° edizione del Festival di Berlino.
Linda, dunque, è sposata e ha una bambina piccola affetta da una misteriosa malattia, per cui ha bisogno di cure costanti. Suo marito è andato via qualche settimana per lavoro e la donna si trova da sola a badare a sua figlia, conciliando, al contempo, il suo lavoro di psicoterapeuta. Un giorno, tuttavia, la situazione precipita improvvisamente: a causa di infiltrazioni d’acqua nel soffitto di casa sua si forma un enorme buco e la donna è costretta a trasferirsi con sua figlia momentaneamente in albergo, in attesa che il danno venga riparato.
Linda corre. Corre tutto il giorno, dapprima per accompagnare sua figlia in un centro di cure (litigando costantemente con il parcheggiatore della clinica), poi per recarsi al lavoro. Soltanto di notte, quando la bambina – costantemente monitorata con una ricetrasmittente – dorme, ella può uscire a respirare un po’ d’aria fresca. Anche se a quell’ora, a quanto pare, non è più permesso acquistare alcolici. E così, If I Had Legs I’d Kick You ci mostra come in una sorta di labirinto di cui sembra praticamente impossibile trovare l’uscita la quotidianità di Linda, una donna sostanzialmente sola, che nessuno riesce ad aiutare e che sembra non trovare comprensione proprio da nessuno. Nemmeno dal suo stesso terapeuta.
La macchina da presa della regista – da sempre particolarmente interessata alle problematiche femminili all’interno della società in cui viviamo (al punto da aver pubblicato anche diversi scritti sul tema) – si concentra sovente sul volto della sua protagonista, grazie a primissimi piani e dettagli atti a farci empatizzare con lei già dai primi minuti. E ciò accade durante tutto il lungometraggio, in cui, di fatto, mai ci viene mostrata la bambina stessa, quasi come se si trattasse di un fantasma. Una scelta registica, la presente, particolarmente coraggiosa e azzeccata, che riesce appieno nei suoi intenti e che rende il confusionario mondo della protagonista ancora più claustrofobico.
E poi, naturalmente, in If I Had Legs I’d Kick You, non può assolutamente mancare il tema della maternità stessa. Una maternità vissuta sovente in modo problematico, ora a causa di fantasmi del passato (come la stessa Linda ammette con il suo terapeuta), ora a causa di paure eccessive e di sovraccarichi di responsabilità (particolarmente degna di nota, a tal proposito, una delle pazienti di Linda, madre iper protettiva e apprensiva che non si separa mai da suo figlio neonato, ma che, improvvisamente, abbandona quest’ultimo nello studio della protagonista, durante una seduta di psicoterapia). Una maternità le cui difficoltà non vengono mai realmente comprese.
Eppure, nonostante la drammaticità dei temi trattati, If I Had Legs I’d Kick You ha comunque i toni della commedia, facendo di eccessi e paradossi, in tal senso, i propri cavalli di battaglia. Una commedia drammatica e dal retrogusto amaro, che di spunti di riflessione ce ne offre davvero tanti, grazie a una storia in cui in molti, in un modo o nell’altro, riescono immediatamente a identificarsi.
Marina Pavido