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I Vichinghi

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VOTO: 5

(Super)Uomini del Nord

Figli di un Conan minore. Il titolo originale del lungometraggio diretto da Claudio Fäh, I Vichinghi, sarebbe Northmen – A Viking Saga. Ma nel film i rudi Uomini del Nord sembrano più che altro Superuomini in grado di affrontare imprese d’ogni sorta, tipo scalare pareti rocciose che pure in Cliffhanger – L’ultima sfida verrebbero guardate con sospetto; al contempo parlare di “Saga” potrebbe apparire irriguardoso nei confronti dell’Edda di Snorri Sturluson come di qualsiasi altra fonte letteraria norrena, più giusto semmai definirla “sagra”, una sagra di epici combattimenti e improbabili avventure che con l’epopea vichinga, però, possono vantare un legame solo esteriore. Sì, perché in realtà riferimenti storico-culturali non mancano certo. Ascoltiamo più volte gli indomiti guerrieri invocare Odino o Tyr, prima della battaglia. Si parla di rune. E si fa addirittura riferimento a Lindisfarne come anche alle preghiere dei monaci di allora, che con esse intendevano esorcizzare le scorribande di quei razziatori pagani. Comunque, questi elementi di contorno appaiono puramente esornativi, rispetto a una conduzione del racconto che privilegia senz’altro la componente “action”, esasperandola anzi in direzione di una selvaggia e iperbolica successione di eventi, il cui registro oscilla tra Epic e tentazioni Fantasy (le capacità divinatorie della ragazza, per esempio), mettendo così da parte qualsiasi rigore filologico in favore della spettacolarizzazione pura.

Nell’eclettismo di fondo con cui è stato concepito il plot de I Vichinghi c’è spazio, tanto per dire, addirittura per quel monaco guerriero, le cui movenze possono ricordare più il protagonista di un “wuxiapian” hongkonghese che una figura di combattente minimamente credibile, nell’Europa medioevale. Allo stesso modo sfasati e fuori dal tempo appaiono i principali nemici della spedizione vichinga, quei truci mercenari che si suppone siano giunti lì nientepopodimeno che dai Carpazi. Al centro dell’azione la trama pone infatti un eterogeneo ma agguerritissimo contingente di guerrieri Vichinghi, rinnegati in patria, che in seguito a un naufragio dovranno attraversare territori nemici in Scozia, prima di raggiungere gli avamposti della propria gente situati più a sud; ed avendo rapito, nel mentre, la figlia di un sovrano locale, dovranno respingere sia gli attacchi dei suoi soldati che quelli dei già citati mercenari, i più spietati del lotto.

Senza scomodare per forza precedenti antidiluviani come I Vichinghi del 1958, magnifico film diretto da Richard Fleischer e interpretato da Kirk Douglas, Tony Curtis ed Ernest Borgnine, è con produzioni più recenti che il film di Claudio Fäh deve fare i conti. Il suo “look” da B-Movie anni ’80, esagerato e sconclusionato, può strappare simpatia ma non è al passo coi tempi, se guardiamo alla finezza della ricostruzione ambientale e alla ricchezza di contenuti che caratterizzano ad esempio Vikings, la bella serie televisiva di genere storico creata ed interamente scritta da Michael Hirst. Lì siamo a ben altri livelli. Qui ci si deve accontentare di un intrattenimento molto più frivolo, sgangherato, sebbene non manchino le note accattivanti; a partire magari da certi scenari naturali, con location ricavate incredibilmente da paesaggi sudafricani posti a ridosso del celebre Capo di Buona Speranza. E pure nel cast, assemblato senza grossi nomi, si nota qualche presenza interessante, su tutte quella dello svedese Johan Hegg. Costui è il frontman degli Amon Amarth, band di culto che ha contribuito anche alla colonna sonora.

Stefano Coccia

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