Liberaci dal male
Una notte in un esclusivo centro ricreativo, un custode uccide tutti gli ospiti e poi si suicida. Da allora ogni notte di Capodanno si manifestano eventi paranormali nell’edificio. In seguito a questi fatti, la struttuta viene chiusa e abbandonata per anni. Do-jin un rinomato investigatore di eventi paranormali, perde sua madre in un incidente misterioso dopo aver eseguito un esorcismo in questo centro ricreativo. Tormentato dai sensi di colpa, l’uomo si dirige verso il vecchio centro per risolvere un segreto nascosto ormai da tempo. Nel frattempo, tre studenti vengono a sapere dei fenomeni inspiegabili che accadono nell’edificio abbandonato. Determinati a vincere un video contest e i soldi del premio, il trio decide di andare a dare un’occhiata…
Insomma avrà il suo bel da fare il protagonista di Guimoon: The Lightless Door per riportare a galla i motivi che hanno portato il custode a compiere il folle gesto, per scoprire cosa è realmente accaduto alla madre e per salvare gli sventurati studenti dalle grinfie demoniache degli spiriti tormentati che vagano ancora per l’edificio che li ha visti soccombere brutalmente. E sono queste le tre sfide per altrettante linee guida narrative che tra passato e presente si intrecciano nel racconto al centro dell’opera prima di Sim Deok-geun, presentata alla 20esima edizione del Florence Korea Film Fest. Un passaggio, quello alla kermesse toscana, che in particolare gli amanti dell’horror non ricorderanno a lungo, ma che cercheranno di dimenticare presto come il risveglio da un brutto incubo.
L’esordio nel lungometraggio del classe 1985 dopo alcune buone prove sulla breve distanza con corti come Bittersweet Youth o An Aesthetics of violence, si traduce purtroppo per lui in un buco nell’acqua a causa di una sceneggiatura che di acqua ne imbarca tanta, mandando a picco tutto il resto, compresi i tentativi al limite del disperato da parte del cineasta sudcoreano, del montatore e del reparto degli effetti speciali di coprire le défaillance della scrittura di Jong-ho Lee. Quest’ultimo consegna nelle mani del connazionale uno script che segue le linee guida e gli stilemi delle ghost-story, ma con risultati tutt’altro che soddisfacenti. Il modello è quello dei dirimpettai e colleghi del Sol Levante che con film come Ringu, Dark Water e Ju-on, hanno rilanciato in Oriente il filone, attirato l’attenzione delle platee internazionali e riscritto a proprio modo le regole d’ingaggio. Un’eredità che Sim Deok-geun e molti connazionali che prima di lui hanno voluto confrontarsi con il filone in questione non hanno saputo mettere a frutto, portando sullo schermo pellicole meritevoli di cadere presto nel dimenticatoio come Show Me the Ghost, Hotel Leikeu, The Cat, The Hypnosis, Ghost Mansion o Whispering Corridors: The Humming. Ma ad onor di cronaca, la cinematografia sudcoreana, salvo rare eccezioni (tra cui Train to Busan, The Wailing, The Host e I Saw the Evil) ha poche volte brillato sul fronte horror, a differenza di altri generi dove i registi locali hanno consegnato alle sale e alle piattaforme prove maiuscole.
C’è dunque un problema alla radice e Guimoon: The Lightless Door ne paga lo scotto. L’autore punta tutto sulla messa in quadro, sul sangue e sull’effetto shocker per sopperire alle mancanze strutturali di un plot che non ha nulla di particolare da segnalare in termini drammaturgici. Il plot, infatti, è il risultato di una sequela di situazioni prevedibili e già viste, popolate da personaggi e creature mostruose che di terrificante hanno davvero poco nella resa. Colpa degli effetti di make-up e di VFX non sempre qualitativamente all’altezza delle reali esigenze, tanto da non permettere alle scene di caricarsi di quella tensione necessaria a far saltare dalla poltrona o dal divano lo spettatore di turno.
Dal canto suo Kim Kang-Woo, attore con alle spalle già diverse esperienze cinematografiche e seriali in madre patria, ce la mette davvero tutta per rendere il più credibile possibile il personaggio e le scene che gli sono stati affidati. Ma anche qui, il suo lavoratore nel campo del paranormale non brilla certo per forza e capacità di coinvolgimento emotivo. Il ché sferra l’ultimo fendente, quello decisivo, alle speranze di risalita di un progetto all’insegna del vorrei ma non posso.
Francesco Del Grosso