Home Festival Torino 2015 God Bless the Child

God Bless the Child

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VOTO: 6.5

Crescere, che fatica!

Non è semplice affrontare il tema dell’abbandono e, in generale, trattare con originalità o quantomeno coinvolgimento argomenti già usati e, talvolta, stra-abusati. God Bless the Child di Robert Machoian e Rodrigo Ojeda-Beck ci prova a suo modo, ma per quanto riesca a rifuggire dalla retorica e dal moralismo, allo stesso tempo è come se, dopo le prime scene, ci si aspetterebbe di essere travolti emotivamente. Durante e alla fine della visione, invece, ci si rende conto di come il flusso sia altalenante, forse per rispecchiare proprio ciò che accade nella vita vera; però è innegabile che, di fronte ai cinque figli (Harper, Elias, Arri, Ezra, Jonah), si immagina di provare qualcosa di straziante e drammaticamente forte visti alcuni presupposti posti sulla carta.
God Bless the Child ci rivela subito il mood della storia che si sta per raccontare: una ninna nanna cerca di cullare i piccoli affinché si addormentino. Sentiamo uno di quei bambini che, compiendo qualcosa che si fa durante quell’età, dice: «comportati da uomo, sii uomo», quasi come un diktat soprattutto a se stesso. Qui già si comprende come questi fratelli, alzatisi con la luce del nuovo giorno e con un nuovo abbandono da parte della madre, debbano far da sé. Ad accollarsi le veci di capofamiglia è la maggiore, Harper (H. Graham). I giovani interpreti sono figli di Machoian e vengono ripresi dai due co-registi in tutta la loro spontaneità e nella quotidianità in cui bisogna vivere al minuto più che alla giornata. La coesione dovuta dal legame vero si avverte in ogni scena che compiono, anche quelle di ripicche e desiderio di attenzione, tanto più tra i più piccoli.
Presentato in concorso al Torino Film Festival, siamo sicuri che potrà dividere come reazioni proprio per questa natura ibrida, in cui la realtà sembra farsi “sporcare” dal cinema, anche se poi nei fatti è il contrario. God Bless the Child assume una direzione che in alcuni momenti sembra quasi assomigliare ad un film documentario e non di finzione, merito anche della macchina da presa invisibile. La platea vive la giornata di questi bambini, dal momento tenero e giocoso in cui i cani si fanno lavare e impomatare quasi fossero dei peluche (soprattutto uno), a quello delle faccende domestiche. Vediamo come la maggiore debba prendersi cura di loro e rinunciare ai piaceri di quell’età, provando a dimostrare una maturità superiore a quella della madre, instabile e poco responsabile.
La mancanza di empatia totale la si avverte per via di una storia che ricerca volutamente il realismo e questo diventa un arma a doppio taglio, in quanto c’è poco lavoro drammaturgico e di sviluppo romanzato. La giornata scorre, ma non accade nulla di “sconvolgente”, sembra quasi di assistere a un ordine che viene scombussolato per poi… (meglio non rivelarvi oltre). Ovviamente il dato di fatto che turba è proprio l’abbandono.
Come tutti i film, la parola ultima starà agli spettatori, forse, anche voi vi ritroverete a dividervi tra chi lo ha amato e chi è rimasto un po’ deluso dalla morsa al cuore che gli è mancata.

Maria Lucia Tangorra

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