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Gli uomini d’oro

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VOTO: 7.5

Più di una semplice rapina

Siamo consapevoli del fatto che il cinema italiano spesso mantenga uno standard di livello tendente al medio/basso. Eppure c’è ancora qualche regista che tenta di spingersi oltre, costruendo un film interessante e abbastanza innovativo. E’ il caso di Vincenzo Alfieri e del suo Gli uomini d’oro.
Il film è tratto da un fatto di cronaca realmente accaduto a Torino nel 1995. Una rapina dai contorni pittoreschi che ha portato la banda che l’ha realizzata, ad essere rinominata proprio la banda de” gli uomini d’oro”. Per riportare sullo schermo quanto successo, il regista trentatreenne si circonda di un cast di tutto rispetto con nomi maschili e femminili di grande spessore. Sotto la guida di Alfieri si alternano Fabio De Luigi, Edoardo Leo e Gianpaolo Morelli, affiancati da Matilde Gioli, Susy Laude e Mariella Garriga, senza denigrare la partecipazione del veterano Gian Marco Tognazzi. La sceneggiatura del film, scritta dallo stesso regista in compagnia di Alessandro Aronadio, Renato Sannio e Giuseppe Stasi, punta dritta ll’originalità e a consegnarci un film che non ha una definizione precisa ma che potremmo considerare multi-genere. C’è il crime, c’è il thriller, c’è la dark comedy e c’è il dramma. Un mix di elementi che non intacca il finale anche per via delle modalità di racconto della storia. La rapina, pur rappresentata anche in modi abbastanza dettagliati, tende a passare in secondo piano. Sono i personaggi a farla da padrone. Il copione si occupa infatti di raccontare l’evento dal singolo punto di vista, suddividendo il lungometraggio in capitoli dove ogni capitolo narra la prospettiva di un singolo personaggio. Un metodo originale che si riconcilia con quello usato da Paolo Virzi né Il capitale umano, dove l’evento, in sostanza, passa in secondo piano lasciando uno spazio più ampio ai personaggi e alle loro motivazioni. Il finale del film, congiunge le tre storie fino allo sconcertante epilogo. Un grosso plauso va, senza dubbio, all’interpretazione di Fabio de Luigi, il quale abbandona per l’occasione il suo lato comico, sfoderando una performance più drammatica che non si vedeva dai tempi di Come dio comanda di Gabriele Salvatores. Anche sul lato delle scenografie, il regista non si è affatto risparmiato, dipingendo una Torino umida, buia e uggiosa tipica della metà degli anni Novanta. Per evidenziare alcuni momenti del film, Alfieri fa un uso non troppo spropositato della computer grafica, arricchendo il film con inquadrature originali che calzano alla perfezione con lo scorrimento del film. In sostanza, Gli uomini d’oro è un prodotto nuovo e permette al cinema italiano di alzare un pochino gli standard. E’ molto difficile trovare dei punti deboli in un film che contiene tutti gli ingredienti per risultare appetibile.

Stefano Berardo

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