Io sono favoloso
La vita di Billy Bloom era perfetta nel Connecticut, in piena armonia con la favolosa madre Muv. Ma un giorno viene improvvisamente spedito a vivere a sud, nella dimora paterna, dove non passa giorno senza che qualcuno gli dica di essere più normale. Inizia a frequentare la scuola superiore dove dovrà vedersela con mean girls bigotte e bulli testosteronici, che ogni giorno cercheranno di impedirgli di essere favoloso. Ma Billy, con un guardaroba da far invidia ai migliori teatri di Broadway, riuscirà ad arrivare alla migliore performance della sua vita: essere se stesso.
Quello raccontato in Freak Show è come avrete avuto modo di leggere nella sinossi un nuovo capitolo di un romanzo di formazione, che dalle pagine dell’omonimo libro di James St. James è approdato sul grande schermo grazie all’opera prima dell’attrice, nonché produttrice e moglie di Sting, Trudie Styler, con la quale si è chiusa la 32esima edizione del Festival Mix Milano. Presentato alla kermesse meneghina a più di un anno di distanza dalla sua anteprima mondiale nella sezione “Generation” della Berlinale 2017 e il successivo passaggio tra gli eventi speciali di “Alice nella Città” alla Festa del Cinema di Roma 2017, il film della Styler si fa portatore sano di temi universali e delicati come il bullismo, la ricerca della propria identità, sull’amicizia, sull’inclusione, sull’accettazione e sulla lotta per il diritto di essere sempre se stessi, indipendentemente da ogni etichetta che ci porta a credere che essere normali debba essere la norma. Temi, questi, che tanto nella matrice letteraria quanto la sua trasposizione vengono affrontati mescolando i colori del dramma con quelli della commedia.
Il risultato è la classica dramedy, nella quale la materia seriosa viene affrontata di petto con le “armi di coinvolgimento di massa” dell’ironia. Il tutto con la delicatezza, l’attenzione e la giusta dose di rispetto nei confronti di dinamiche e argomentazioni sulle quali si è soliti banalizzare e scivolare nelle sabbie mobili della morale a buon mercato. La morale c’è, ma non oltrepassa mai la soglia che separa la discussione scialba e gratuita, di natura stereotipata, dall’occasione per fare scaturire sani spunti di riflessione. Il merito della pellicola e della sua autrice sta, dunque, nel non avere oltrepassato quella soglia, nonostante le caratteristiche della storia e del personaggio che la animano avessero nei rispettivi DNA un’alta percentuale di rischio. E per farlo, la regista ruba immagini al mondo dell’arte, del cinema e della musica mettendone al centro il suo giovane protagonista, qui interpretato da un Alex J. Lawther che risulta credibile e a suo agio nei panni di un freak, glam and proud, nella sua corsa alla conquista del titolo di reginetta della scuola. Freak Show si poggia sulla sua convincente interpretazione, che rappresenta la scialuppa di salvataggio quando la scrittura e la regia, in maniera ridondante, tornano a sottolineare più di una volta passaggi e concetti già affrontati.
Francesco Del Grosso