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Four Kings

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VOTO: 6

È arrivato il Natale

Che Theresa von Eltz sia una regista da tenere d’occhio lo dimostra a chiare lettere la sua opera prima dal titolo Four Kings, presentata in concorso alla decima edizione della Festa di Roma nella sezione Alice nella Città. La cineasta tedesca firma un film che mette in risalto la bravura nella direzione degli attori coinvolti che, a loro volta, restituiscono alla platea di turno delle intense e toccanti performance. Quest’ultime consentono alla pellicola di mantenersi sulla linea di galleggiamento della sufficienza, presenza altrimenti messa in seria discussione da una sceneggiatura che fa della discontinuità e della fragilità del plot il proprio tallone d’Achille. Il quartetto che si muove davanti la macchina da presa, ben supportato dal cast di contorno che garantisce alla causa sostanza e qualità (dove spicca Clemens Schick nel ruolo del dottor Wolff), offre un’interpretazione corale di grandissima efficacia. A guidare il gruppo la bravissima Paula Beer nel ruolo di Alex, sedicenne incapace di gestire il conflitto con il suo ragazzo, che la porterà a una decisione radicale. Il giorno dopo si ritrova al pronto soccorso di un ospedale psichiatrico, dove incontra altri tre ragazzi: Lara, la figlia di una coppia di accademici soggetta ad allucinazioni, la timida Fedja vittima di bullismo a scuola ed il violento Timo che è appena stato trasferito dal reparto vicino. Sotto le cure del giovane psichiatra Dr. Wolff, trascorreranno insieme un “indimenticabile” Natale.
La regista tedesca si affida a personaggi davvero ben delineati, tridimensionali per quanto concerne le sfumature, ma soprattutto agli attori che si calano nei loro panni per dare più di una scossa a una sceneggiature che sopravvive solo grazie a sussulti e picchi emotivamente coinvolgenti come l’incontro di Lara con i genitori, il tentativo di suicidio di Fedja o l’attacco d’ira incontrollata di Timo dopo i fatti del lago. Questi vanno a posizionarsi sulla timeline di un dramma da camera gelido e ansiogeno che per raggiungere la vetta necessità di un lunghissimo rodaggio. Ma intanto il tempo scorre inesorabile e i titoli di coda si avvicinano sempre di più. Quando oramai tutto sembra compromesso, improvvisamente scatta la scintilla e la seconda parte acquista miracolosamente forma e sostanza. Lo schermo si incendia nonostante la neve abbia ricoperto tutto ciò che circonda l’edificio dove sono stati rinchiusi i quattro protagonisti. Di conseguenza, la scrittura si sveglia dal letargo, aiutata nella risalita da una messa in quadro che tira fuori dal cilindro una continuità e una varietà di soluzioni visive che donano al tutto ritmo e tensione. Peccato che ci voglia così tanto prima che ciò accada.
Lo stile e il modo di girare solido, preciso e senza sbavature della von Eltz denotano una indubbia preparazione e una conoscenza dell’apparato filmico e delle sue potenzialità espressive, oltre a un certo gusto nella composizione del quadro. La macchina da presa alterna sapientemente “sporcizia” e “pulizia”, geometrie e caso, diventando una penna con la quale scrivere una storia di dolore e sofferenza, ma anche di speranza e complicità, che ha nel suo dna le fondamenta di un romanzo di formazione che sfugge per fortuna alle sabbie mobili del buonismo e della retorica.

 Francesco Del Grosso

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