Il Cinema, una vita
Esattamente cento anni fa nasceva a Stoccolma Ingrid Bergman. Un’attrice, una star del firmamento hollywoodiano. Ma prima ancora una persona, un essere umano a trecentosessanta gradi. Sembra un’operazione cinematografica ovvia raccontare una vita che già da sola pare un lungo – ma sfortunatamente non troppo, visto che la Bergman scomparve nel 1982 a sessantasette anni di età appena compiuti – film dal quale attingere un enorme quantità di materiale sospeso tra il meraviglioso e l’emozionante. Si trattava solo di riuscire a trovare la modulazione narrativa giusta per far arrivare questo ritratto di sbalorditiva bellezza e pienezza al cuore dello spettatore. In Io sono Ingrid, il documentario oggetto di questa nostra disamina, il regista svedese Stig Björkman c’è riuscito svelando il lato più intimo della Bergman, quella dimensione personale comunque inscindibile dal proprio percorso artistico. Due aspetti che, a guardare in profondità, hanno costantemente finito con l’intrecciarsi, avvinghiarsi nell’abbraccio di un’esistenza vissuta assaporandone intensamente qualsiasi aspetto e ogni attimo.
Per Io sono Ingrid la famiglia della Bergman ha messo a disposizione del regista una quantità enorme di materiale scritto che l’attrice ha conservato e catalogato in vita con la cura che si deve al ricordo di un passato unico. Dai diari personali sino alle lettere indirizzate alle poche amiche del cuore – una delle quali fu Irene Selznick, moglie del celebre produttore di Via col vento David O. Selznick – emerge la personalità di una donna ammaliata dalla possibilità di vivere su piani di realtà differenti. Fragile e solitaria da bambina, aspetti caratteriali dovuti soprattutto alla precoce scomparsa di una madre in pratica conosciuta per pochissimo tempo, Ingrid Bergman ha amato da subito recitare una parte sia con i suoi amici invisibili – in compagnia dei quali lei stessa racconta di aver trascorso lunghe ore della propria infanzia – sia davanti all’obiettivo fotografico dell’amato padre, abitudine dalla quale è scaturita la futura sicurezza di fronte alla macchina da presa. Una forma grezza di “cinema”, inteso come pulsione a tirare fuori ogni aspetto caratteriale recondito, che è stato insomma il suo sempiterno compagno d’avventura. La trasferta hollywoodiana, avvenuta poco dopo i vent’anni, è sembrata quasi una svolta spontanea dovuta ad una recitazione in grado come pochissime altre di “bucare” lo schermo piuttosto che un sogno più o meno raggiungibile vagheggiato da una giovane attrice originaria di una nazione fuori dai grandi circuiti internazionali. E impressiona la naturalezza con la quale si inserisce in produzioni poi divenute leggendarie come Casablanca (1942), smitizzate alla stregua di un’interessante esperienza professionale in compagnia di un partner quale Humphrey Bogart, peraltro assai più anziano di lei e già divo da copertina.
Una donna, in sostanza, in grado di far convivere magicamente passionalità estrema e razionalità fuori dal comune, come dimostrano le relazioni intrecciate da sposata con il grande fotografo di guerra americano Robert Capa e soprattutto con Roberto Rossellini, fatto questo che provocò le ire funeste dell’America più puritana e moralista. Ma il richiamo alla vita è sempre stato più forte di ogni altra cosa, facendo di Ingrid Bergman un autentico, tanto amorevole quanto combattivo, “animale” da palcoscenico. Solamente che quello stesso palcoscenico poteva essere rappresentato, intercambiabilmente, da un set cinematografico e dalla vita. Così ci confermano le testimonianze dei figli Pia – di primo letto, con un chirurgo svedese – nonché Robertino, Isotta Ingrid e Isabella, nati dalla decantata unione con Roberto Rossellini.
Ricco di un’aneddotica perfettamente degna di un personaggio incapace di essere banale, accompagnato dalla bellissima colonna sonora del grande Michael Nyman in grado di far percepire allo spettatore il respiro del tempo che scorre, nonché da una tradizionale ma efficace composizione narrativa che alterna filmati d’epoca ad interviste passate e presenti (notevolissima quella che vede riunite Isabella Rossellini, Sigourney Weaver e Liv Ullmann, a rievocare momenti del loro rapporto con la Bergman) guidate da una voce narrante (nella versione originale appartenente ad Alicia Vikander) ricca di sincerità, Io sono Ingrid, pur sfociando in un finale probabilmente sin troppo elegiaco, raggiunge l’essenza di quella persona dai tanti volti che è stata Ingrid Bergman. Per l’occasione riuniti in un unico affascinante mosaico, luccicante della sua inarrivabile, carismatica, talentuosa bellezza esteriore e interiore.
Daniele De Angelis