Una love story orwelliana
Equals è un film scritto e diretto da Drake Doremus, in Concorso alla 72esima Mostra di Arte Cinematografica di Venezia.
Il futuro è sempre stato oggetto dell’immaginazione artistica e della fantasia di scrittori e registi. Non si può parlare di distopia senza dedicare almeno due righe alla pietra miliare letteraria che, senza dubbio alcuno, chiude il cerchio a tutta una serie di opere novecentesche del genere: 1984 di George Orwell. Non solo una severa critica ai sistemi autoritari tipici del secolo scorso, ma anche una inquietante previsione su quelli che sarebbero stati i rapporti di potere negli anni a venire. Drake Doremus, giovane regista statunitense, porta al Lido di Venezia una pellicola sicuramente visionaria, che si distacca almeno parzialmente dalle valutazioni politiche per abbracciare una veduta più introspettiva ed umana.
Equals, in corsa per il Leone d’Oro in questa 72esima Mostra del Cinema, ci proietta in un fantomatico domani non specificato, in cui i sentimenti e le emozioni umane sono state messe a tacere ed addirittura considerate dannose. È questo lo scenario in cui Silas (Nicholas Hoult) e Nia (Kristen Stewart) si trovano a doversi muovere, una società anestetizzata in cui ogni sensazione è ritenuta una malattia contagiosa chiamata SOS (Switched-On Syndrom). Questa “sindrome dell’accensione” si presenta in soggetti in cui l’inibizione non è andata a buon fine, fin dai primi anni di vita, e che per questo devono essere confinati dentro un luogo chiamato Il Covo poiché ritenuti pericolosi. Inutile dire che l’amore tra i due protagonisti sarà così naturale e incontrollabile da tracciare un solco irreparabile sulle loro vite.
Doremus costruisce un ambiente asettico, aiutato da una fotografia fortemente geometrica e dalle cromature neutre e pulite. Il bianco la fa da padrone. Ogni forma si incastra perfettamente e le tinte algide dei paesaggi, oltre che dei costumi, richiamano alla mente un ordine innaturale dietro un’atmosfera greve e soffocante. Ogni comportamento segue un criterio preconfezionato e la tecnologia di cui si servono gli abitanti è perfettamente funzionale al sistema.
La sceneggiatura decalca questi presupposti, e trova la sua nota imprevista proprio nel cambio delle aspettative: la società immaginaria di Equals non è raggiante, non ricorda i sorrisi plastificati del Truman Show (1998) o della cittadina scenario della serie televisiva Wayward Pines (2015); le condizioni sociali non sono disastrate come in The Road (2009) – la trasposizione cinematografica del romanzo di Cormac McCarthy – e manca quasi totalmente l’aspetto valutativo che si ritrova in altri prodotti come V per Vendetta (2005) o I figli degli uomini (2006). Se dovessimo ricercare una qualche analogia, la si potrebbe forse riscontrare nel lavoro di Phillip Noyce, The Giver (2014), o in The Island (2005), di Michael Bay, ma anche questi percorrono la via dell’analisi etica che invece non sembra interessare Doremus.
Se il soggetto di Equals è curioso ed anche piuttosto innovativo, nella sua formula a metà strada tra sci-fi (science fiction) e dramma romantico, la pellicola non riesce mai a spiccare il volo e gira su se stessa, addirittura inciampando in aforismi da social network e prendendo la piega (o piaga?) dei teen-movie tanto in voga. La storia d’amore tra i due lobotomizzati occuperà tutto lo spazio a disposizione, relegando il vasto discorso sull’apatia umana ad un background a momenti scomodo per la relazione sentimentale. Le stesse inquadrature seguono questa successione, passando dalle riprese a tutto campo ai dettagli sull’esplorazione dei corpi, e concentrando l’attenzione sulla (ri)scoperta del contatto fisico dinanzi a delle fredde luci al neon. Anche questo espediente, però, si rivela fallimentare, giacché troppo sbrigativo e poco coraggioso, lasciando così che la scelta stilistica si perda nel vuoto.
Drake Doremus getta le basi per uno script potenzialmente interessante, dove in un futuro distopico l’obiettivo viene polarizzato dalle dinamiche più sostanziali che agitano uomini e donne, ma si perde inevitabilmente in un prodotto facile per un pubblico adolescenziale che poco ha a che fare con il Festival lagunare. Per noi è già “fuori concorso”.
Riccardo Scano