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Ennio

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VOTO: 7

Il genio immortale

Bastano soltanto poche note per riconoscere una musica composta dal grande Ennio Morricone. Già, perché, di fatto, il celebre compositore romano è stato un vero e proprio motivo d’orgoglio per il cinema nostrano (e non solo). Ammirato in tutto il mondo, imitato da numerosi altri compositori, fonte di ispirazione per migliaia di artisti e capace di conferire ai film da lui musicati un carattere inconfondibile, il musicista – scomparso il 6 luglio 2020 – ha contribuito a scrivere un capitolo fondamentale nella storia del cinema. Non poteva mancare, dunque, a poco più di un anno dalla sua morte, un documentario che percorresse le tappe fondamentali della sua vita e della sua carriera e che ci riproponesse alcune tra le sue più celebri colonne sonore. A ciò ha pensato, così, il regista Giuseppe Tornatore con il documentario Ennio, presentato in anteprima mondiale fuori concorso alla 78° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia.

Giuseppe Tornatore, si sa, pur avendo a suo tempo dato vita a pellicole indimenticabili (basterebbe semplicemente pensare anche soltanto all’ormai cult Nuovo Cinema Paradiso, realizzato nel 1988 e vincitore del Premio Oscar al Miglior Film Straniero nel 1990), talvolta ha decisamente deluso le aspettative di pubblico e critica compiendo dei veri e propri scivoloni (come dimenticare, ad esempio, il poco fortunato La corrispondenza, realizzato nel 2016?). Eppure, quando si tratta di rapportarsi al genere documentario, il regista è solitamente in grado di dar vita a ritratti vivi e pulsanti, capaci di tenere lo spettatore incollato allo schermo dall’inizio alla fine. E questo, fortunatamente, è anche il caso del presente Ennio, che, forte delle testimonianze di numerosi musicisti, registi e produttori cinematografici da tutto il mondo – oltre, ovviamente, delle immortali musiche del Maestro – è riuscito a tracciare un ritratto esaustivo, sincero e sentito del compianto Morricone.
La sua infanzia, la figura di suo padre – stimato trombettista, che ha svolto un ruolo centrale nel suo percorso di formazione – la sua iniziale riluttanza per quanto riguarda i suoi studi al conservatorio, l’incontro fondamentale con il Maestro Goffredo Petrassi – il quale, in qualità di suo insegnante, per primo riconobbe che la strada da percorrere era quella della composizione – il suo primo approccio con il mondo del cinema, il suo speciale rapporto con sua moglie Maria, la sua storica collaborazione con Sergio Leone, la sua consacrazione a livello internazionale, fino, finalmente, ad arrivare alla vittoria di ben due Premi Oscar (dopo sei nomination): il primo, nel 2006, alla Carriera, il secondo alla Miglior Colonna Sonora per The Hateful Height (Quentin Tarantino, 2015). Tutto questo viene raccontatoci da Tornatore con passione e riverenza e, tramite i racconti dello stesso Morricone e alle numerose interviste realizzate nel corso degli anni, scorre come una sorsata d’acqua fresca e non dà minimamente la percezione della sua durata di oltre due ore e mezza.
Ennio, dunque, evita sapientemente ogni retorica e in un riuscito crescendo rende omaggio alla figura del compositore in un’opera fondamentale ed essenziale. Le immagini – e le musiche – parlano da sé. E, soprattutto per quanto riguarda le seconde, si potrebbe affermare che svolgono un ruolo centrale per quanto riguarda la riuscita del film in sé. Proprio come è stato per le numerose pellicole musicate dal Maestro. Tornatore, nel complesso, riesce a svolgere questo suo importante compito in modo dignitoso. I primi piani di Morricone, che – commosso e nostalgico – ricorda alcuni avvenimenti fondamentali della sua vita, fanno da valore aggiunto al tutto e contribuiscono a far sì che la sua iconica figura acquisti tridimensionalità, apparendoci più viva che mai. Un artista che con coraggio e voglia di sperimentare ha fatto la Storia e che grazie al suo talento può dirsi meritatamente immortale.

Marina Pavido

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