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Il regno

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VOTO: 8

La mela marcia

El reino (Il regno per la distribuzione italiana) era senza dubbio uno dei titoli da noi più attesi tra i tantissimi presentati nel corso della 36esima edizione del Torino Film Festival. I motivi erano fondamentalmente due e per quanto ci riguarda sufficienti a giustificarne e ad alimentarne l’attesa. Quest’ultima per fortuna ben riposta in una pellicola che prossimamente farà la sua apparizione nelle sale nostrane, ma che ha già lasciato un segno positivo a seguito della visione alla kermesse piemontese nella sezione “After Hours”, dove arrivava sulla scia delle proiezioni ai festival di Toronto e San Sebastián 2018.

Da una parte il vedere come è stato affrontato il delicatissimo tema al centro del film, dall’altra la curiosità nei confronti dell’ultima fatica dietro la macchina da presa di un regista, Rodrigo Sorogoyen, che sia sul piccolo che sul grande schermo ha saputo destreggiarsi dando molte soddisfazioni al pubblico di turno, a noi compresi. Un regista che non si è assuefatto stilisticamente al modus operandi televisivo, laddove ha firmato alcune apprezzate serie come Impares, La pecera de Eva e Frágiles, e che cinematograficamente parlando ha regalato alla platee poche ma buone prove tanto sulla lunga (8 citas, Stockholm e Che Dio ci perdoni) quanto sulla breve distanza. Di recente, il cineasta spagnolo ci aveva letteralmente folgorato con il suo cortometraggio Mother, già vincitore del del Premio Goya 2018 di categoria, le cui indubbie qualità di scrittura, messa in quadro e recitazione, avevamo potuto constatare in occasione della partecipazione alla prima edizione del Saturnia Film Festival, dove si è aggiudicato il Premio Michelangelo Antonioni per la migliore regia.

Ne El reino ritroviamo con grandissimo piacere le medesime qualità di scrittura, di estetica e di interpretazione, che hanno consentito al cineasta madrileno di dare forma e sostanza ad un thriller incisivo e ricco di adrenalina che affonda la lama in uno dei temi più caldi in Spagna e non solo, ossia la corruzione della classe politica con la mancanza di etica che in molte occasioni la contraddistingue. Senza andare a scomodare pietre miliari e irraggiungibili del cinema di impegno civile come può essere Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, Sorogoyen riflette su come tale mancanza di senso etico si estenda alla nostra società e sulle logiche del potere all’indomani dei casi di corruzione che hanno segnato la recente storia politica spagnola, del quale il protagonista del suo nuovo film non è solo una mela marcia, ma uno dei tanti ingranaggi corrotti che la guida. Per farlo, la macchina da presa entra nelle stanze dei bottoni e ne mostra senza filtri i meccanismi, attaccandosi come una sanguisuga a Manuel Gómez Vidal (altra grandissima performance di Antonio de la Torre), un influente vicesegretario regionale prossimo al salto verso la politica nazionale, vede la sua vita perfetta andare in pezzi in seguito alle notizie trapelate circa il suo coinvolgimento in un giro di corruzione. Mentre i media cominciano a delineare l’entità dello scandalo, il partito gli volta le spalle. Manuel è espulso dal «regno» e, bersaglio dell’opinione pubblica, viene tradito da chi, sino a qualche ora prima, gli era stato amico.

Il risultato è un giallo teso come una corda di violino tale da tenere incollato lo spettatore alla poltrona con continui sali e scendi, accelerazioni e decelerazioni di ritmo, che non lasciano ai personaggi e a coloro che ne guardano le evoluzioni sul grande schermo il tempo di rifiatare. El reino è un giro vorticoso di lancette che porta ad una detonazione della tensione, che tocca picchi altissimi in scene come la fuga notturna dalla stazione di servizio o il piano sequenza nell’appartamento in ristrutturazione in Andorra. Qualche forzatura narrativa si avverte nel corso della timeline, ma non così grave da mettere in discussione l’efficacia e l’incisività di un’opera carica di una suspense in grado di intrattenere il pubblico, e che al contempo parlasse degli esseri umani e delle loro oscurità, dei loro dilemmi nella vita. In tal senso, Sorogoyen cura la forma tanto quanto il contenuto, trovando un equilibrio tra le due fasi. Il tutto senza trascurare gli aspetti apparentemente secondari come l’impatto sulla componente familiare.

Francesco Del Grosso

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