Un capitale umano
Parla ancora una volta spagnolo il palmares del Noir in Festival che ha visto, anche in questa 26esima edizione appena conclusa nella nuova cornice comasco-meneghina, salire sul podio un altro rappresentate della cinematografia iberica. Ma stavolta non sul gradino più alto come accaduto l’anno scorso a Courmayeur con la vittoria di Anacleto, agente secreto – Spy Time, bensì su quello immediatamente successivo dove si è andato a piazzare più che meritatamente El hombre de las mil caras, presentato in anteprima italiana alla kermesse diretta da Giorgio Gosetti e Marina Fabbri prima dell’uscita nelle sale nostrane nel 2017 con Movies Inspired e dopo i premi raccolti al San Sebastián International Film Festival lo scorso settembre.
La pellicola di Alberto Rodríguez bissa in parte il successo ottenuto dal connazionale Javier Ruiz Caldera, portandosi a casa la Menzione Speciale della Giuria con la seguente motivazione: “progetto ambizioso e perfettamente riuscito che coinvolge lo spettatore in una storia complessa ispirata a fatti realmente accaduti, combinando intrattenimento, ritmo, scrittura e un grande cast”. Una motivazione che in poche righe sintetizza e risalta alla perfezione i meriti espressi dal film del regista di Siviglia, già autore dei pluri-premiati La isla minima, Unit 7, After e 7 vírgenes. Ed è proprio da questa che attingiamo per dare il via alla nostra recensione.
Per la sua ultima fatica dietro la macchina da presa, Rodríguez parte da fatti e personaggi reali, dando origine a una biopic che mescola il proprio DNA con quello della spy-story. La storia al centro di El hombre de las mil caras è quella di Francisco Paesa, uno dei personaggi più intriganti sulla scena spagnola degli ultimi decenni, è stato uomo d’affari, banchiere, trafficante d’armi, gigolò e playboy, diplomatico, avventuriero, truffatore e agente segreto: insomma una spia. Nel 1995, Luis Roldán e sua moglie lo assoldano per nascondere un miliardo e mezzo di peseta sottratti al Ministero del Tesoro. Con l’aiuto di Jesús Camoes, suo inseparabile compagno, organizza una brillante operazione dove verità e menzogna hanno confini sottili.
Come avrete avuto modo di capire dalla lettura della sinossi, non siamo esattamente alle prese con un film di spionaggio al 100%, perché le figure chiamate in causa non fanno parte in tutto e per tutto del mondo dello spionaggio, ma le atmosfere, il ritmo e le dinamiche intricate che scandiscono il racconto, richiamano i caratteri e gli ingredienti base del suddetto genere. Un bagaglio, questo, molto ricco e ben amalgamato che avrebbe fatto comodo a molti film analoghi, persino alla traballante trasposizione cinematografica de La talpa di John le Carré, firmata da Tomas Alfredson, dove la confusione regnava sovrana e i tempi eccessivamente dilatati gettavano gli spettatori di turno fra le braccia di Morfeo. L’accelerazione costante del ritmo impresso alla timeline dal cineasta spagnolo e dal montatore José M. G. Moyano fa letteralmente volare il tempo, tanto che non si ha il tempo di guardare le lancette dell’orologio che i 123 minuti di durata sono già trascorsi. Lo stile eclettico, rapido, pop e generoso in termini di soluzioni visive e grafiche, ricorda moltissimo quello del Soderbergh della trilogia di Ocean e prima ancora quello di Guy Ritchie, ma a differenza di quello di quest’ultimo non fine a se stesso, decisamente più controllato e messo a disposizione di un buon meccanismo narrativo, di una drammaturgia più solida e di una vicenda che riesce a calamitare a sè l’attenzione della platea dal primo all’ultimo fotogramma utile. Mertito di un’efficace concatenazione degli eventi, di personaggi dal disegno tridimensionale, dei continui capovolgimenti di fronte e di colpi di scena ben confezionati.
Insomma, El hombre de las mil caras ha tutto quello che una spy-story con la “s” maiuscola dovrebbe avere per offrire al fruitore uno show mistery avvincente e degno di nota, compreso un ottimo contributo da parte degli interpreti principali, tra cui figura quello di un Eduard Fernández in stato di grazia nei panni Francisco Paesa. Adesso non vi resta che attendere l’uscita nelle sale italiane per darci ragione oppure no.
Francesco Del Grosso